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Sono incapaci di spendere un miliardo e litigano sul Mes

Dal 19 maggio stanziati i fondi per le terapie intensive. Ma ancora è tutto fermo

Franco Bechis
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Certo che i soldi servono, da qualsiasi parte arrivino. A una sola condizione che sembra ovvia, ma in Italia non lo è: che vengano spesi rapidamente, tanto più quando si è in emergenza. Da mesi di soldi si discute, non c'è dubbio. E nelle ultime ore all'interno della maggioranza sono volate parolone sul Mes sanitario, quei 37 miliardi di prestiti attivabili dal fondo salva Stati che Giuseppe Conte nella conferenza stampa di domenica sera ha spiegato di ritenere inutili e perfino rischiosi e su cui invece il Pd di Nicola Zingaretti come Italia viva di Matteo Renzi hanno l'idea opposta.

C'è stata frizione interna alla maggioranza per l'uscita di Conte e il premier ha fatto una mezza marcia indietro promettendo che di quei 37 miliardi di euro si discuterà nelle sedi politiche e istituzionali più opportune. Sarà la quarta o la quinta volta che negli ultimi mesi i nostri politici si divertono a lanciarsi nel giochino del Mes sì/ Mes no, ed è un po' penoso che questo accada mentre riparte l'emergenza sanitaria nella sostanziale impreparazione del sistema pubblico, che sta facendo acqua da tutte le parti. Ma a fare capire quanto sia stucchevole quel dibattito sui 37 miliardi di euro (che non verrebbero comunque stanziati dall'oggi al domani perché anche venissero richiesti attiverebbero una complessa procedura) c'è la drammatica realtà dei fondi già stanziati. Si guardi cosa è accaduto su un tema chiave come il potenziamento delle terapie intensive. Pochi o tanti che fossero, il governo ha stanziato il 19 maggio scorso con un decreto legge un miliardo e 413 milioni di euro per la riorganizzazione a questo scopo della “rete ospedaliera” e altri 54,3 milioni di euro per acquistare “strutture di emergenza movimentabili”.

Quanto è stato speso di questa somma in 153 giorni? Nulla. Letteralmente nulla. Per i 54 milioni è stato pubblicato a settembre dal commissario straordinario Domenico Arcuri un “avviso di indagine di consultazione preliminare di mercato” per operatori che avessero avuto interesse a partecipare successivamente “a una procedura negoziata avente ad oggetto l'acquisizione della disponibilità temporanea di quattro strutture movimentabili da adibire a terapia intensiva complete di tutti gli ambienti, gli arredi e le attrezzature medicali e impiantistiche idonee”. Non aggiungo altro, se non il fatto che siamo ancora al “caro amico”, ma il linguaggio stesso utilizzato è un monumento al burocratese e la dimostrazione plastica della assoluta assenza di urgenza. Per il miliardo e 413 milioni si è arrivati invece al 2 ottobre scorso, quando sempre Arcuri ha pubblicato un avviso di gara telematica che ne mette in gioco circa la metà (713 milioni di euro) divisi in 21 diversi lotti territoriali “per la conclusione di accordi quadro con più operatori economici ai sensi dell'articolo 33 della direttiva 2014/24/Ue per l'affidamento di lavori, servizio di ingegneria ed architettura e altri servizi tecnici, al fine dell'attuazione dei piani di riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale”. Quindi stiamo parlando di progettazione delle terapie intensive che dovevano essere sviluppate. Non è accaduto nulla. Se oggi ci sono più posti in terapia intensiva di quelli che esistevano sulla carta (non molti) non è dovuto ad investimenti del governo per attrezzarsi prima dell'autunno che tutti sapevano problematico, ma alla riorganizzazione in corsa e in emergenza con postazioni provvisorie compiuta fra marzo e aprile e un pezzo di maggio grazie a cui sono stati attrezzati reparti ricavati chiudendone altri o addirittura all'interno delle sale operatorie e talvolta anche grazie alla collaborazione di strutture non pubbliche e convenzionate per l'occasione.

Erano posti di terapia intensiva non costruiti, ma riadattati in emergenza e poi richiusi quando l'allarme sembrava essersi attenuato. Gli unici posti nuovi sono stati costruiti non per l'intervento del governo, ma grazie alle donazioni private da Guido Bertolaso in Lombardia (il famoso ospedale della Fiera di Milano) e nelle Marche. Hanno fatto il tiro al bersaglio polemico su quelle strutture, perché quando sono terminate l'emergenza si era affievolita e quindi sono sembrate cattedrali nel deserto, soldi gettati dalla finestra. Oggi davanti al nulla fatto del governo e dalle amministrazioni regionali, dobbiamo accendere un cero a san Bertolaso per quelle due strutture, che sono le uniche extra davvero utilizzabili. Oggi abbiamo 797 malati di Covid ricoverati nelle nostre terapie intensive, e sulla carta ci sono più di 5 mila altri posti. Ma non è così per un motivo molto semplice: in terapia intensiva finiscono purtroppo malati colpiti da infarto o da ictus e molti altri malati o vittime di incidenti gravi. Non possono essere ricoverati per ovvie ragioni dove c'è un malato di Covid che li infetterebbe. Quindi i posti disponibili davvero per il coronavirus sono assai meno, e non si possono occupare con loro tutte le strutture ospedaliere esistenti. Basta un solo malato di coronavirus per rendere una terapia intensiva inaccessibile a tutti gli altri malati. 

Allora se in 153 giorni non si è riusciti a spendere il miliardo e 413 milioni che era più urgente da spendere, capirete quanto sia stucchevole e nauseabondo il dibattito sui 37 miliardi del Mes, che non servirebbero a nulla per combattere il coronavirus oggi. Tanto più che con questo stesso schema gran parte del 100 miliardi stanziati in tre decreti legge da marzo ad oggi non sono ancora stati spesi, bloccati da decine di decreti attuativi non varati e dai percorsi burocratici infiniti. Invece di chiacchierare, signori della politica, rimboccatevi le maniche. Perché ce ne è davvero bisogno.

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