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Elezioni regionali, piano con le feste: non è tutto flusso quello che luccica

Riccardo Mazzoni
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Paragonare i risultati di elezioni con diversa valenza – europee con amministrative, politiche con regionali – è un esercizio empirico che spesso dà indicazioni fallaci, anche se fotografa fedelmente i flussi elettorali del momento. Queste regionali, ad esempio, hanno fatto registrare un indubbio riequilibrio fra maggioranza di governo e opposizione.

Per l’Istituto Cattaneo, nelle regioni in cui si è votato, l’area di governo ha superato quella del centrodestra di sei punti (53 a 47), anche se i sondaggi nazionali, sommando i voti di Lega, Forza Italia e Fdi, confermano il vantaggio del centrodestra. Sul fronte dei singoli partiti, il Pd si è confermato primo per consensi nelle regioni chiamate al voto seguito da Lega, Fratelli d’Italia, 5 Stelle e Forza Italia. Questo dato va ovviamente letto considerando che in Campania e Veneto i voti di molti potenziali elettori di Pd e Lega sono andati alle liste dei presidenti, ed è proprio questo un fattore cruciale da considerare: quello che la presidente dei senatori di Forza Italia, Bernini, ha definito come il “fattore G”, ossia il ruolo attrattivo svolto dai governatori che hanno gestito in prima linea la pandemia.

Emblematico, in questo senso, l'apprezzamento record riconosciuto dagli elettori a Zaia in Veneto, la regione che è uscita prima e meglio dal Covid, ma lo stesso discorso vale anche per Toti in Liguria, per De Luca in Campania e in Puglia per Emiliano, che non a caso ha messo nella sua lista il virologo Lo Palco, uno dei più esposti mediaticamente nei mesi dell’emergenza sanitaria. Nelle due regioni in cui non erano candidati i governatori uscenti - Toscana e Marche - sulla scelta degli elettori ha prevalso invece l’appartenenza politica, ed è stato un pareggio.

Ma proiettare questi dati sulle tendenze politiche a livello nazionale è, appunto, azzardato, anche perché gli umori dell’elettorato sono estremamente mutabili, variano di mese in mese, e se non ci sarà la temuta seconda ondata epidemica, quello che l’area di governo ha lucrato col Covid rischia di trasformarsi rapidamente in un boomerang quando finirà l’effetto placebo delle misure assistenziali e l’emergenza economica esploderà con la fine del blocco dei licenziamenti, i fondi in rosso per la cassa integrazione e l’attesa delle risorse del Recovery Fund che non arriveranno prima di luglio. Saranno mesi durissimi, in cui emergeranno tutti insieme i ritardi e le contraddizioni della maggioranza.

C’è, poi, un altro elemento, questa volta tutto legato alle dinamiche elettorali già sperimentate in passato, che consiglia prudenza nel considerare il risultato delle regionali come lo specchio reale dello stato di salute dei partiti. Il paradosso è che la sinistra, dopo l’Umbria, ha perso un’altra regione rossa come le Marche e ora governa solo cinque regioni su venti, ma ha potuto ugualmente cantare vittoria perché i sondaggi avevano suscitato aspettative diverse.

Anche qui, però, l’esame dei dati suggerisce considerazioni molto più caute. Prendiamo Veneto e Campania: se alle politiche i voti della lista Zaia confluiranno quasi tutti sulla Lega, quelli raccolti da De Luca non sono invece oro che si rifletterà automaticamente sul Pd. De Luca infatti ha messo insieme una babele di liste, molte delle quali composte da ex notabili del centrodestra saliti sul carro del sicuro vincitore: i flussi dimostrano infatti che proprio dal tradizionale bacino moderato c’è stato un vero e proprio travaso di voti verso il governatore uscente. E' soprattutto chi aveva scelto la Lega alle Europee del 2019 che non si è riconosciuto nel candidato Caldoro.

Anche tra gli elettori che nel 2019 avevano scelto i Cinque Stelle, De Luca è risultato più attrattivo della candidata grillina. In Campania poi, come in tutto il Sud, trasporre il voto regionale o amministrativo in quello politico è un po’ come paragonare le mele con le pere, perché qui vale da sempre il “fattore P”, cioè il voto di preferenza. Vale cioè molto di più la fedeltà al candidato che l’appartenenza politica. Un esempio per tutti: Italia Viva, che è uscita disastrata da queste elezioni, in Campania è rimasta a galla superando il sette per cento solo grazie a una oculata quanto spregiudicata selezione delle candidature, tanto che la sua lista ha ottenuto 173.658 voti con ben 178.912 preferenze. Un patrimonio fittizio destinato a dissolversi alle politiche. La Lega invece ha preso 132.999 voti e solo 116.910 preferenze, con una prevalenza quindi del voto di opinione. Quando dunque, alle politiche, il “fattore G” e il “fattore P” non avranno più peso, il quadro cambierà, e di molto. Per cui nella confusione di queste ore è facile trarre conclusioni sbagliate.

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