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Nicola Zingaretti, l'ombra della camorra sulle mascherine: lui parla di tutto tranne che dei suoi guai

Francesco Storace
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Omertà omertà diventerà il nuovo slogan del Pd di Nicola Zingaretti se la sgangherata armata del Nazareno sopravviverà alla catastrofe elettorale di oggi e domani. Il silenzio più glaciale che elettorale con cui il governatore del Lazio sfida le malefatte che quei cattivoni dei giornali – non tutti – gli attribuiscono è qualcosa di incredibile. Riesce persino ad ammutolire i suoi alleati grillini di governo, che tacciono come carogne di fronte a quanto viene attribuito al presidente della regione. Sì, omertà.

Le mascherine e la mafia. Con il solito ritornello della parte lesa. A Roma si dice coglionella. La Corte dei Conti e il suo assessore alla sanità, Alessio D’Amato. Gli sperperi sul palazzo della Provincia di Roma, stando alle accuse della magistratura contabile. La marea di nomine illegittime in regione. Lo stuolo di avvocati preferiti dal suo segretario generale, Andrea Tardiola. Il debito stratosferico del Lazio. I dubbi che serpeggiano sul cosiddetto “vaccino italiano” dello Spallanzani. Ma veramente uno così rischiamo di trovarcelo al Viminale, a vigilare sul rispetto delle leggi e della sicurezza dei cittadini? Ma non scherziamo proprio. Ed è proprio la vicenda delle mascherine che dovrebbe far dubitare chiunque fosse mosso dalla strampalata idea di affidare ancora responsabilità di carattere politico e amministrativo a Nicola Zingaretti. Non ha solo buttato decine di milioni al vento facendosi fregare da una ditta che produceva lampadine e smerciava improbabili mascherine per combattere il Covid-19. 

Adesso pare essersi messo in mezzo da solo con un’altra azienda che stava sotto le fauci della criminalità di Taranto e dintorni. Roba mafiosa, non esattamente delicata. In regione c’è stato qualche accenno di battaglia politica, soprattutto da parte di Chiara Colosimo, consigliere di Fratelli d’Italia che alla Pisana non esitò mesi addietro a parlare di mafia in piena aula consiliare. Ora vengono fuori nomi pesanti, tornano a galla le relazioni con il clan Senese – lo ha fatto il quotidiano Domani con le carte della Dia… - e lui continua a stare zitto come un pesce zitto.

La domanda è: poniamo il caso che la regione Lazio sia davvero parte lesa, come si fa a cacciare dalla nostra mente il dubbio che chi ha frodato l’istituzione non sia ben incollato alle poltrone più importanti? Altrimenti Zingaretti non si è accorto davvero di nulla. E uno che la figura del coglione volete metterlo al Viminale? Alla regione ci sta per farsi imbrogliare dal primo che passa?

Zingaretti impartisce lezioni di legalità all’universo mondo, ma ancora non spiega perché si tiene a fianco Alessio D’Amato: la Corte dei Conti pretende che l’assessore restituisca la bellezza di 275mila euro sull’unghia. Ma lui non li sborsa né il governatore muove un passo per fargli firmare l’assegno. E si tiene un assessore che maneggia miliardi per la sanità anziché rimuoverlo dall’incarico.

Certo, si potrebbe dire che anche Zingaretti non vuole offrire credibilità a quei magistrati che lo indagano su novanta milioni di euro – non propriamente bruscolini – per il famoso palazzo della Provincia. Nell’inchiesta della Corte dei Conti, il presidente della regione è chiamato a rispondere assieme a Virginia Raggi e a un nugolo di politici e tecnici e già questo gli sembrerà una beffa. Ma anche qui il suo atteggiamento da mummia è intollerabile.

Zingaretti si è fatto fottere anche dal Tar e dal Consiglio di stato su un abbondante gruzzolo di nomine di dirigenti che continua a sfornare come se si trattasse del condominio di casa sua. Ma non se lo può permettere e certamente anche qui il suo silenzio è tutt’altro che un inno alla trasparenza che pretende dai suoi avversari politici.

Salvo poi gettare le responsabilità addosso al segretario generale, appunto Tardiola, che a sua volta utilizza in regione anche avvocati di estrema fiducia per le questioni che lo riguardano nei contenziosi privati. E ogni riferimento allo studio Ghera e associati è assolutamente fondato, come testimoniano interrogazioni presentate in consiglio regionale.  

Zingaretti non pronuncia una sillaba neanche su quanto emerge dalle carte del bilancio regionale: in questo caso va dato atto almeno ad una esponente pentastellata, Valentina Corrado, di aver scovato la cifra monstre su un debito regionale pari – allo stato attuale - a 22 miliardi. Stavolta nessuno fa domande al governatore e quindi non gli pare vero di non dover rispondere.

Consiglio. Fra poco qualcuno potrebbe incuriosirsi per tentare di capire che succede se sul “vaccino italiano” si dovessero azzardare – usando lo Spallanzani - a condurre in porto un’operazione spregiudicata quale quella che abbiamo appena cominciato a segnalare su queste pagine. Spendere soldi pubblici per finanziare una società che in Svizzera gode dell’anonimato ed è collegata ad un’importante multinazionale porta ad escludere sentimenti di patriottismo, diciamo. Sta per arrivare l’ora in cui si dovrà parlare per forza e raccontare finalmente tutta la verità. 

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