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Caos migranti, ipocrisia sinistra: così fan tutti ma paga solo Salvini

Riccardo Mazzoni
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La nuova missione della Open Arms nel Mediterraneo si è conclusa venerdì pomeriggio a Palermo, con il trasbordo dei 140 migranti sulla nave quarantena “Azzurra”, dove si trovavano già le 123 persone che nei due giorni precedenti si erano gettate in mare. Se per disperazione autentica o solo come strumento organizzato di pressione sulle autorità italiane lo scopriremo in occasione dei prossimi salvataggi: visto che il metodo ha funzionato, infatti, le probabilità di emulazioni da parte dei prossimi migranti salvati dalle Ong sono altissime. Ma il punto è un altro: la missione è iniziata l’8 settembre, ha portato a termine tre operazioni distinte di salvataggio - due in zona Sar maltese e una davanti alla Libia – e per dieci giorni Malta e Italia hanno rifiutato di assegnare un porto sicuro di sbarco a Open Arms.

Eppure i naufraghi, secondo lo staff medico di Emergency, erano duramente provati dal viaggio e dalla drammatica esperienza che avevano vissuto nelle prigioni libiche. Dieci giorni senza risposte, dunque, durante i quali dalla Ong erano inutilmente partiti appelli sempre più accorati: “Far attendere così a lungo un porto sicuro a persone già vittime di violenze, abusi e viaggi lunghissimi alla ricerca di un futuro migliore è una violazione dei diritti umani fondamentali, dei diritti del mare e delle nostre costituzioni democratiche” – aveva tuonato Emergency. Dalla sinistra italiana al governo, invece, si era levata solo la voce – l’unica coerente – dell’ex presidente del Pd Orfini: “Quello che sta accadendo con la Open Arms è semplicemente indegno. Anzi, è degno di Salvini. Si consenta subito lo sbarco in sicurezza, come dovrebbe essere normale in un Paese civile”. Per il resto, solo silenzio: nessuna delegazione di parlamentari si era mossa per salire a bordo, nessuna mobilitazione indignata da parte di giornali e televisioni, e nessun procuratore della Repubblica aveva sentito il dovere di sequestrare la nave per costringere il governo a far sbarcare i naufraghi.

Tutto l’opposto, insomma, di quanto avvenne nell’agosto di un anno fa, quando il primo governo Conte – quello gialloverde -impedì alla stessa Open Arms di attraccare a Lampedusa, con 164 migranti che “vennero costretti forzatamente a rimanere a bordo per sei giorni, dal 14 agosto sino all’esecuzione del sequestro preventivo, in data 20 agosto (solo per i soggetti minorenni, sino al 18 agosto, data in cui ne venne autorizzato lo sbarco)”, come si legge nella richiesta di autorizzazione a procedere contro l’allora ministro dell’Interno Salvini partita dal Tribunale dei ministri di Palermo. Che aggiungeva: "La protrazione della loro permanenza a bordo della Open Arms, per le precarie condizioni, sanitarie, psico-fisiche e logistiche, in cui essi versavano ha certamente compresso in modo rilevante e, dunque, giuridicamente apprezzabile la loro libertà di movimento", riferendosi a quanto annotato dal procuratore della Repubblica di Agrigento Patronaggio, che aveva sentito il dovere di salire a bordo per ispezionare la nave.

Dopo il via libera del Senato giunto col voto dell’aula di luglio, Salvini il 3 ottobre andrà a processo per sequestro di persona e omissione di atti di ufficio. Per la ministra Lamorgese che un anno dopo ha impedito per giorni lo sbarco dei migranti dalla Open Arms, invece, la magistratura non si è minimamente mossa, ritenendo evidentemente che la sua sia stata una legittima scelta politica. Ma perché la sua sì e quella di Salvini no? E qui, riavvolgendo il nastro, tornano alla mente le intercettazioni di Palamara, e il suo teorema secondo cui Salvini va attaccato “anche se ha ragione”. Questa è l’Italia, dove la legge non è uguale per tutti, e dove l’obbligatorietà dell’azione penale è un interruttore che si accende e si spegne a seconda delle convenienze politiche.

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