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M5S e Pd, è caduto il muro di Bibbiano: via libera al matrimonio con i Dem

Francesco Storace
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Arriviamo sempre dopo i tedeschi. E stavolta dobbiamo accontentarci del crollo del Muro di Bibbiano, che ormai separava solo virtualmente Pd e Cinque stelle. La guerra frontale era già finita col Conte 2, ora sono entrati nell’alcova, il matrimonio tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio – che resta il capo vero dei Cinque stelle – si è celebrato sulla piattaforma Rousseau. 

Il leader del Pd può essere soddisfatto dell’operazione. Lega a sé i grillini, o almeno la parte che accetterà la museruola dell’alleanza e squaglierà Matteo Renzi, che ridurrà definitivamente a cespuglio. Sembra la rinascita dell’Unione di Romano Prodi, con tanti piccoli alleati. E del resto nelle regionali di settembre la quantità di liste che i candidati di sinistra hanno messo in campo è impressionante. Più preferenze che voti di opinione, si potrebbe dire. 

E chissà che di qui alla ormai prossima presentazione delle liste per le regionali non riescano – Pd e Cinque stelle – a trovare persino l’accordo nei territori dove vanno per ora divisi per le elezioni di settembre: il 20 agosto è arrivato. E se hanno chiamato a votare su Rousseau a ferragosto un motivo ci sarà…

Il centrodestra ora ha di fronte un nemico riconoscibile, che però ha ancora paura. Alla roba partorita sulle spoglie di Gianroberto Casaleggio manca ancora un dettaglio: il coraggio. Che sta nella legge elettorale.

Se si formano due coalizioni corazzata, che senso ha il ritorno al proporzionale? È su questo che si può misurare la sincerità – mischiata al tentativo di renderla conveniente – di un’alleanza per la quale si mettono assieme mondi che sembravano lontani. Se si va alle coalizioni, sarebbe inspiegabile realizzare un assetto di legge elettorale fondato sul sospetto e sul trasformismo, tipico del proporzionale.

Certo, occorrerà dare un po’ di collegi agli alleati minori, ma se la barriera del 5 per cento si abbatte, quelli se li prenderanno lo stesso unendosi tra piccoli. I segnali d’amore a Ferragosto tra Renzi e Carlo Calenda non vanno sottovalutati.

Al punto in cui siamo, non va nemmeno escluso che più prima che poi si azionerà anche l’ultima spinta, quella che porterà all’utilizzo del Mes, vincendo le residue resistenze pentastellate. Questo “nuovo” centrosinistra non può fermarsi per così poco…

E pazienza per i resti del Movimento Cinque stelle, che ormai muore e si trasfigura in qualcosa di profondamente diverso rispetto al passato. Per amore del Pd, sono arrivati anche al ritiro delle querele: Bibbiano non esiste e in fondo neppure la mafia, tanto per restare alle carezze reciproche di appena un anno fa, come ricorderà la smemorata Paola Taverna.

Zingaretti non avrà difficoltà neppure a far votare Virginia Raggi. Il suo “mai” di ieri somiglia tanto allo stesso “mai” che pronunciava prima dell’accordo per Palazzo Chigi a Giuseppe Conte.

Già, Conte. Molti si chiedono quale ruolo avrà in futuro. Pigramente si può sostenere che l’asse Zingaretti Di Maio può indebolirlo. Ma se si ragiona un po’ più in profondità, va detto che finora non ha sbagliato una mossa per tenere gli alleati legati a sé. Il premier punta al bersaglio grosso, sia di nuovo Palazzo Chigi o addirittura il Colle.

Chi ride è Zingaretti. Per ora.

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