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Aborto farmacologico senza ricovero: prendi una pastiglia e va via il problema

Francesco Storace
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Aborto a chilometro zero. Tra le mura di casa. Sola. La chiamano libertà. Così la battezzano – perché almeno la parola resta in vita – il ministro Roberto Speranza e la solita compagnia di giro che inneggia alla morte sbrigativa. Da primato olimpico.

L’ulteriore allargamento dell’aborto chimico rappresenta una cinica mossa politica. Si baratta il feto con il voto. Ma c’è anche chi si alza in piedi e dice no, perché ci è toccato persino leggere la disarmante superficialità con cui si è raccontato che “cade un altro tabù” (Repubblica): il che equivale a definire un tabù il diritto alla vita.

non ci sono solo le convinzioni di chi crede nella sacralità della vita, che pure andrebbero rispettate almeno quanto quelle di chi ideologizza il diritto all’aborto; quel feto, a due mesi e mezzo dal concepimento, avrà almeno anche lui un diritto ad un pensiero, ad una preghiera, fosse anche di fronte alla minuscola tomba di un cimitero? Quella “lettera ad un bambino mai nato” scritta da Oriana Fallaci negli anni ’70, va davvero cestinata?

No, è un grumo senza diritti per l’intolleranza senza etica. Siamo stati persino costretti a leggere che nel parere del consiglio superiore di sanità usato dal ministro della salute a poco prezzo si adopera l’argomento del considerevole risparmio per la sanità pubblica se si manda la donna ad abortire chimicamente a casa. 

Fateci capire: se arrivassero i mitici soldi del Mes invece si potrebbe tranquillamente continuare ad abortire in ospedale? Ma davvero a questo punto si deve arrivare nella discussione su quella che veniva considerata più una tragedia che un diritto? Perché abortire è un sacrificio e non una gioia, pensavamo. 

Ora si trasforma tutto in un orribile fai da te. Cacci quel feto dal tuo grembo. Basta quella pillola che ti hanno consegnato. Fai tutto da sola. Senza un medico accanto. Senza che nessuno possa parlarti. E se ti infetti chi interviene ad evitarti problemi di sicurezza personale? Chi pratica il raschiamento? Quella creatura – nove settimane, due mesi e mezzo – dove finisce? In bagno? Gassata sul pavimento di casa? Poi si passa lo strofinaccio?

Non bisogna fingere che la scelta di considerare possibile l’utilizzo della Ru 486 per via domestica non comporti ancora più problemi. La strada casalinga all’aborto esporrà le donne a rischi enormi. A partire dai ceti sociali più fragili, laddove prospera l’ignoranza. Ma come si fa?

Con la legge 194 la donna deve comunque seguire un percorso. Così tutto diventa invece più brutale. La prevenzione diventa lettera morta delle norme e cianciano di “pieno rispetto della legge 194”.

Sono quelli che affermano che solo le donne possono decidere. Giorgia Meloni e Isabella Rauti, ad esempio, sono donne e madri, e adoperano parole durissime contro la decisione di Speranza.

La modifica delle linee guida in materia di aborto annunciata dal ministro cambia sostanzialmente le procedure. Finora si prevedevano tre giorni di ricovero, il tempo necessario per l'espulsione del feto e le verifiche sullo stato di salute della donna. Inoltre il limite massimo di applicazione era di 7 settimane di gestazione, mentre ora, a quanto è dato capire, si potrà arrivare alle 9 settimane. Tutto questo, praticato in casa, rischia di compromettere davvero la salute delle donne. Non si consenta tanta leggerezza.

In discussione non è più la legge 194 – peraltro parzialmente applicata – ma l’estremismo di chi pensa di indicare l’aborto chimico come una pratica ordinaria. Ma c’è – dovrebbe esserci – un limite a tutto.

 

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