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Luca Palamara, la magistratura non creda di cavarsela col tonno espiatorio

L'Anm caccia Palamara. Che si difende: "Pago colpe di tutti". È vero, e i magistrati non possono far finta di niente

Franco Bechis
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Era il 27 giugno 2015 quando ad Orvieto al congresso della corrente dei magistrati, prese la parola un membro del Csm che era ben noto all'uditorio. Si chiamava Luca Palamara (come il tonno,rideva Cossiga), ed esordì così: «È stato fino a questo momento un congresso importante e significativo. E proprio perché abbiamo parlato di correnti e del ruolo della corrente non possiamo negare a noi stessi che stiamo partecipando a un congresso politico, a un congresso di una corrente». Poi Palamara tirò le orecchie ai suoi: «Non si può essere partito di lotta e di governo allo stesso tempo...». Un congresso politico? Un partito di lotta? Un partito di governo? Qualcuno dei tanti presenti si scandalizzò per quelle parole? Qualche membro del Csm, magistrati presenti che non appartenevano a Unicost? Nessuno. D'altra parte lo statuto di quella corrente non faceva proprio alcun mistero della propria vocazione: «Il gruppo promuove, anche con l’ausilio di mezzi telematici, la più ampia partecipazione democratica al dibattito associativo e alla determinazione della sua linea politica».

 

Un partito con una linea politica. Evviva Palamara e i suoi che almeno non hanno mai nascosto quello che erano. Ieri però l'Associazione nazionale magistrati, un sindacato che a sua volta è superpartito raccogliendo come un parlamentino i rapporti di forza fra le varie correnti della magistratura che sono appunto partiti politici, ha deciso di espellere senza manco dargli audizione il prode Palamara, perché tutti sapevano benissimo quello che faceva (e infatti bussavano alla sua porta per usarne l'influenza politica), ma le finzioni debbono rimanere tali e non è bello vedere pubblicato nero su bianco quel che si fa, ma non si dice: bisogna farlo umma-umma, in gran segreto. 

 

Siccome anche Palamara era abituato a quel tipo di recita da una vita, è sembrato quasi sorpreso dal calare così brusco del sipario. E davanti alle tv che lo aspettavano si è sfogato: «Le chat sono divenute pubbliche, purtroppo, altro non sono che uno spaccato di questa situazione. Non le ho mai cancellate perché mai pensavo che il mio telefono potesse diventare oggetto di un provvedimento di sequestro. Ognuno aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti, penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ancora oggi ricoprono ruoli di vertice all'interno del gruppo di Unità per la Costituzione, o addirittura ad alcuni di quelli che ancora oggi siedono nell'attuale Comitato direttivo centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento. Sarebbe bello che loro raccontassero queste storie. Non devo essere io a farlo».

Gli sfoghi non sono mai eleganti, e potrebbero apparire un pizzico minacciosi nei confronti di chi l'ha espulso, però anche tenendo conto di questo aspetto, lo sfogo dice la verità. La dice perché l'abbiamo letta passo dopo passo in quel che è stato reso pubblico, e anche in quello che è stato verbalizzato e magari non pubblicato sulla stampa. Ma sinceramente per quanto possa essere fastidioso specchiarsi in quelle chat, nulla di quanto rivelato era davvero una sorpresa.
Mi sembra perfino peggio di quel che ha combinato Palamara l'ipocrisia dello scandalo che si manifesta in queste settimane. Non la contrizione manifestata di fronte ai segreti resi pubblici per lo scandalo dato non da un magistrato, ma dalla magistratura stessa. Ma il tentativo goffo di limitare alla mela marcia che si fa fuori facilmente una distorsione che è istituzionale, connaturata alla stessa magistratura italiana come fin qui è stata vissuta e praticata. 

E' troppo facile e molto bugiardo il tiro al Palamara, accompagnato da proclami di svolta e rigenerazione. Sono falsi come Giuda, chiunque li pronunci: è il modo più classico di trovare il capro espiatorio, seppellirlo con l'indignazione per farlo in fretta dimenticare, fingendo di cambiare e passando a qualcun altro il testimone. Perché se vogliono farlo, liquidino Unicost, Magistratura indipendente, Area, Magistratura democratica e qualsiasi altra corrente fosse pure da poco nata come un funghetto. Le sciolgano e dimostrino di volere davvero svoltare. È l'unica soluzione credibile e possibile. Quelli sono partiti, in piedi per elaborare linee politiche (e già questo è assai discutibile e del tutto estraneo alla missione della giustizia) e per questo inevitabilmente vocate alla lottizzazione degli uffici direttivi della magistratura. Diranno di no, ma non è la verità: fosse pure in buona fede, qualsiasi capo partito (e quindi un capo corrente) vorrebbe avere lì dove si organizza la giustizia qualcuno che la pensi come lui, che abbia la stessa linea politica che ovviamente si ritiene meglio dell'altra. E siccome se non si hanno i voti per scegliere chi vorresti bisogna fare patti e alleanze esattamente come in politica, le correnti hanno fra le loro funzioni la lottizzazione praticata con le regole più antiche del sistema dei partiti: le sole che si conoscano. Calcio nel sedere a Palamara, dunque. E da domani la sola novità che potrà esserci sarà quella della cancellazione immediata delle chat correntizie dopo avere portato a casa i risultati necessari. Non cambierà altro.

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