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Italia fuori dal G7. Pronta la beffa

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Luigi Bisignani
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Caro direttore, al desk italiano della Bce, orfano di Mario Draghi tutore, il governo di Roma è diventato un sorvegliato speciale e circola un appunto classificato, ‘strictly confidential’, che potrebbe guastare per sempre i sogni di gloria di Giuseppe Conte: l’Italia rischia di uscire dal G7, il gruppo delle prime economie del pianeta, aprendo tra l’altro le porte alla troika della UE.

Le preoccupazioni del desk italiano, per ora non fatte proprie ancora da Christine Lagarde, sono legate alle previsioni impietose sull’economia italiana che purtroppo iniziano a diventare realtà. Secondo la nota, “mentre Germania e Brasile perderanno forse il 5-6%, l’Italia viaggia fra il -9,1% e il -14% e, data la differenza molto contenuta fra il Pil 2019 di Italia e Brasile, che tallona Roma, quest’ultima rischia di uscire dalla speciale classifica delle prime sette economie mondiali, con il Brasile che ne prende il posto”.

Se questo dato viene letto assieme a quello tendenziale dell’annoso rapporto debito/Pil, che viaggia sopra il 150%, e a quello del Pil reale pro capite che nel 2019 in Italia era del 15% sotto la media dell’Eurozona, non ci sarebbe proprio scampo. Lo Stato di Roma caput mundi potrebbe essere sbattuto fuori dal consesso dei grandi della Terra e non avere più quel peso politico, economico, industriale e militare determinante su scala globale. A Francoforte, come a Bruxelles, si aspettavano molto di più pure dalla selezionatissima task force guidata da Vittorio Colao alla quale, però, dopo un primissimo avvio spumeggiante, perfino in sintonia con i vari ministeri, sono poi mancati i collegamenti concreti con iniziative analoghe in altri Paesi. Capita l’antifona, alla fine, soprattutto la Germania ha deciso di fare da sola.

Quello che maggiormente ha deluso del rapporto Colao è sintetizzato in un appunto sulla scrivania del vicepresidente esecutivo della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, sorpreso che non sia stato approntato un vero piano con le priorità, ma una mera lista di suggerimenti senza scadenza e, soprattutto, priva di un’allocazione delle risorse disponibili. Forse anche perché le entrate fiscali italiane subiranno un drastico calo in quanto, solo per fare alcuni esempi, l’Iva su consumi segue il Pil, quindi sarà a -12% o -13%, e l’Irpef crollerà almeno del 30% per via della riduzione del reddito totale dei lavoratori, per non parlare del crollo dei versamenti dei contributi previdenziali per effetto della cassa integrazione, tanto che alla Ragioneria Generale dello Stato iniziano a parlare addirittura di circa 100mila miliardi di minor gettito fiscale. Di queste cifre, agli Stati Generali di Villa Pamphilj nessuno discute, così come è accantonato il piano Colao, con alcune uscite folkloristiche come quella di Mariana Mazzucato, stellina statalista piddina, ispirata a Nanni Moretti nel domandarsi: “mi si nota di più se firmo o se non firmo il Piano”? E decidendo poi di non firmare, ha confermato la classica linea dicotomica protagonista-attendista di “Giuseppi”: titoli sui giornali, apparizioni in tv e diluvio di tweet per prendere tempo e tirare a campare. Ma la situazione politica è ormai esplosiva, con la Lega e i 5 Stelle che rischiano di spaccarsi molto rapidamente, anche perché al Quirinale comincia già a delinearsi l’identikit di un nuovo Presidente del Consiglio e di un nuovo Ministro dell’Economia che possano essere davvero in grado di gestire questa seconda ardua fase di rilancio. Sempre che l’Europa non ci metta sotto tutela imponendoci la Troika, come è successo con la Grecia. Sarebbe la conferma che, con i nomi, Conte non ha proprio fortuna: con “avvocato degli italiani” è diventato difensore solo di sé stesso; con gli “Stati Generali” rischia di finire ghigliottinato proprio come Luigi XVI che, per primo, li ha creati.

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