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Le figurine ingombranti dei M5s

Il magistrato antimafia, prima riferimento della legalità, ora è diventato difficile da gestire

Gianluigi Paragone
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La vicenda Di Matteo/Bonafede ha diverse chiavi di lettura. La più immediata è quella parlamentare: qui parti storicamente ostili al magistrato si sono affrettate a prenderne le difese con il solo intento di indebolire il governo mettendo alle corde il Guardasigilli. Ci sta, per carità; ma non è per nulla il copione che intendo seguire, non fosse altro perché certe difese sono ridicole. La precisazione mi era doverosa perché anch'io criticherò Bonafede e il Movimento (quindi allineandomi in apparenza al gioco dell'opposizione) ma in quanto ex parlamentare del Movimento, espulso per eccesso di ortodossia con il programma grillino. (Avrei voluto scrivere per eccesso di coerenza ma chi si loda s'imbroda...).  Per approfondire leggi anche: Daniela Santanché a valanga sulla Rai Per decifrare il duello rusticano tra il magistrato antimafia e il ministro andato in onda a Non è l'arena vanno affrontate almeno tre chiavi di lettura: quella interna al movimento, quella esterna e quella di comunicazione. Tratterò inizialmente e brevemente la seconda perché è già stata sviscerata: l'offerta avanzata dal ministro al magistrato tra l'opzione Dap e l'opzione Affari penali; la scelta del secondo di puntare al Dap; il ripensamento del Guardasigilli poche ore dopo l'offerta avanzata al magistrato. A rendere più fitto il mistero del dietrofront di Bonafede su Di Matteo sono le voci che arrivano dalla criminalità, voci di ribellione in caso di nomina di Di Matteo. E qui si arriva alla messa a fuoco interna al Movimento, per commentare la quale mi dilungherò. La caratura... SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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