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Renzi bluffa su Conte

Giorgia Meloni non ci spera: lite finta, rientrerà grazie alle prossime nomine. "Io felice per il boom di Fratelli d'Italia. Non mi ricandido sindaco di Roma"

Alberto Di Majo
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Nell'era della politica liquida, dei leader che volano ma poi spariscono nel giro di un paio di elezioni, Giorgia Meloni una battaglia l'ha già vinta. Alla fine del 2012, quando nasceva Fratelli d'Italia, erano tanti a pensare che sarebbe stato un partitello senza futuro. Invece ora, complice il calo della Lega di Salvini (che tuttavia resta saldamente il partito che traina il centrodestra), la Meloni e i suoi hanno conquistato uno spazio politico determinante. Anche per questo non mancano i contrasti con gli alleati (ultimo quello per i candidati alle Regionali) ma la strada è segnata. Presidente Meloni, secondo gli ultimi sondaggi il suo partito continua a crescere. Potrebbe superare anche il M5S. Che effetto le fa? «Sono molto felice per questa crescita, che è testimoniata non soltanto dai sondaggi ma anche dai voti reali. In tutte le ultime elezioni regionali siamo cresciuti notevolmente, in Emilia Romagna abbiamo triplicato i voti, in Umbria e Calabria siamo ben sopra il 10%. E la sensazione palpabile è che continuiamo a crescere, in tutto il territorio nazionale. A Roma siamo storicamente radicatissimi, nel Mezzogiorno stiamo tornando alle percentuali di An e anche nel Nord si cresce. A Milano abbiamo appena celebrato una cena con oltre 2000 persone paganti a testimonianza che c'è grande attenzione verso il nostro messaggio». Per approfondire leggi anche: Giorgia Meloni piace più di Matteo Salvini Quando ha fondato FdI, e tanti glielo sconsigliavano, si aspettava questi successi? «Abbiamo sempre saputo che c'era, c'è e ci sarà in Italia una destra profonda che non si ritrovava più nell'allora Pdl e che aveva bisogno di rappresentanza. E che c'era bisogno di un soggetto credibile e rinnovato che parlasse non solo alla destra ma a tutto il centrodestra. Lo abbiamo costruito nell'indifferenza e nella sottovalutazione generale. "Ma dove andate? Non c'è spazio...vi schianterete...non votate i piccoli partiti...non avete i poteri forti alle spalle". Abbiamo sempre saputo che il potere più forte di tutti erano gli italiani, e abbiamo lavorato per convincere loro. Con determinazione e coerenza. Oggi gli stessi commentatori sono costretti ad ammettere che FdI è una realtà imprescindibile nella politica italiana». La crescita del suo movimento cambia gli equilibri politici nel centrodestra? «Certo che sì, siamo ormai stabilmente il secondo partito del centrodestra e ci accingiamo a superare i 5 Stelle come già avvenuto nelle ultime regionali, diventando così il terzo partito italiano. Oggi tutti sanno, anche nel centrodestra, che non si può prescindere da FdI, con le sue idee e la sua presenza nei territori. Ma noi abbiamo una caratteristica: lavoriamo per vincere. Dunque, non utilizziamo mai il nostro peso per rompere, il centrodestra unito per noi è una priorità e una prospettiva di governo». Qual è stato il «segreto» del boom del consenso di FdI e del suo personale (secondo l'ultimo sondaggio di «Repubblica» è seconda per gradimento solo a Conte)? «Non avere mai cambiato bandiera. Gli italiani sanno che votando noi non vedranno tradire quel voto. Costi quel che costi. Avevamo detto che non avremmo fatto accordi con Pd e M5S e siamo stati gli unici a mantenere la parola. In questi giorni leggo surreali retroscena di una possibile intesa Renzi-Salvini per un governo Draghi dopo il Conte bis; un'intesa che sarebbe destinata a saltare per la contrarietà di FdI. Francamente penso che questo scenario non esista, ma mi fa piacere che tutti diano per scontata la contrarietà di Fratelli d'Italia, senza neanche dovercelo chiedere. Ho detto e ripetuto più volte che noi siamo disponibili ad andare al governo soltanto con coloro con i quali ci siamo presentati alle elezioni. E tutti sanno che se lo diciamo lo facciamo». Pensa che Salvini sia preoccupato dal calo del Carroccio (avrebbe perso 5 punti negli ultimi mesi) e dall'aumento di FdI? «Penso proprio di no. La discesa della Lega è tutta da vedere e in ogni caso parliamo del primo partito italiano. Fratelli d'Italia cresce ma è un'ottima notizia anche per la Lega, visto che abbiamo l'obiettivo di governare insieme. Più forte è la coalizione, più saldo e duraturo sarà il governo. Non avrebbe senso lavorare l'uno contro l'altro ma lavorare per crescere tutti. Poi è normale che in un'alleanza ci sia anche una sana competizione, altrimenti non saremmo un'alleanza tra partiti diversi ma un unico partito. In questi giorni in molti stanno cercando di evidenziare crepe tra me e Matteo. Anche per questo ci ho tenuto ad essere presente in tribuna al Senato mentre si votava l'autorizzazione a procedere contro Salvini: per solidarietà umana verso un alleato ma anche per ribadire che un ministro votato per fermare l'immigrazione clandestina non deve essere messo sotto processo quando fa quello che i cittadini, e la Costituzione, gli chiedono. Insomma, possiamo discutere su tante cose ma abbiamo un obiettivo comune: mandare a casa questi incapaci e restituire all'Italia un governo con la schiena dritta che faccia i suoi interessi e non quelli di Berlino, Parigi e Bruxelles». Ora che «vede» Palazzo Chigi, non ci pensa proprio più a poter fare il sindaco di Roma? In caso, ha un nome per un primo cittadino di FdI? «FdI ha più di un nome di persone che potrebbero essere ottimi sindaci della Capitale e abbiamo un radicamento storico in città che ci consente di sostenerli con forza. A tempo debito ne parleremo con gli alleati. Quanto a me, tutti conoscono il mio amore per Roma, ma candidarmi sindaco è una cosa che ho già fatto. E con il senno di poi, visti i fallimenti della Raggi, penso che molti romani abbiano maturato il rimpianto di non aver avuto il centrodestra compatto nel 2016. Il fatto che non mi candidi non significa però che non lavorerò per la Capitale. Sono impegnata da tempo, ad esempio, sulla battaglia per dare a Roma risorse e poteri simili a quelli dei quali dispongono tutte le altre grandi capitali europee. In questi giorni, poi, sarò in tutti i mercati del centro anche per sostenere la candidatura alla Camera di Maurizio Leo nel collegio Roma 1, dove si vota a seguito delle dimissioni di Gentiloni». Nel collegio il centrosinistra, che candida il ministro Roberto Gualtieri, parte favorito. Leo può ribaltare il pronostico? «Abbiamo scelto di candidare un simbolo del taglio delle tasse e del sostegno alle piccole e medie imprese, ai professionisti e a chi lavora, contro il ministro delle tasse. Si preannuncia una battaglia di Davide contro Golia, visti gli strumenti dei quali gode il ministro Gualtieri per "convincere" gli elettori. Ma io penso che una vittoria di Leo in un luogo così simbolico sarebbe un altro segnale chiaro al governo nazionale e anche alla giunta Raggi. Vedremo quanti saranno i voti del candidato cinque stelle e sapremo che quelli sono i voti che prenderanno alle prossime elezioni comunali». Che fine farà, invece, il governo Conte e la maggioranza giallorossa? «Le schermaglie di questi giorni sono ridicole. Renzi continua ad abbaiare alla luna ma l'impressione è che non avrà il coraggio di staccare la spina, e che in fondo stia solamente cercando di strappare qualcosa, magari sulle nomine che deve fare il governo. Tutto ruota sempre e solo attorno alle poltrone. È un governo che si fonda sulla paura, e non ha altro. Non ha una visione comune su nulla, non ha una politica economica in grado di rilanciare la nazione, non ha una strategia sulle grandi crisi industriali (da Ilva ad Alitalia, da AirItaly ad Auchan fino al settore bancario), sulla giustizia e sulle infrastrutture lasciamo stare. Per questo lavoriamo perché vadano a casa e perché l'Italia possa avere un esecutivo forte e coeso, che faccia le scelte coraggiose delle quali questa nazione ha bisogno».

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