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Tasse da record. E poi ci stupiamo se c'è l'evasione

Andrea Amata
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Il Capo dello Stato Sergio Mattarella è intervenuto con severità sul tema dell'evasione fiscale, definendola «una cosa davvero indecente» e ammonendo che «senza l'evasione ci sarebbero più soldi per stipendi e pensioni». Mi permetto di chiosare le parole del presidente Mattarella a cui va rievocato il livello esasperante della pressione fiscale senza la quale ci sarebbero più imprese attive con più occupazione e maggiori stipendi a cui si ascrive l'effetto moltiplicatore sui consumi. Il primo evasore è lo Stato che sgattaiola dalle sue responsabilità e non onora i debiti con i tanti fornitori privati costretti a dichiarare fallimento perché non riescono ad incassare i crediti con la pubblica amministrazione e spesso il mancato introito li obbliga anche ad evadere le tasse. Lo Stato partecipa, con le sue omissioni di pagamento, all'evasione e non può enunciare lezioni ergendosi sulla cattedra di educazione etica, essendo un esempio non proprio edificante. Non voglio vilipendere la figura del presidente Mattarella, a cui "imploro" una grazia preventiva, ma essendo il più alto rappresentante della statualità il suo sermone, per non apparire ipocrita, avrebbe dovuto autoinfliggersi l'anatema, la deplorazione per un potere pubblico che commissiona servizi e forniture e non adempie ai debiti contratti, abbandonando il privato a logorarsi nell'attesa flemmatica e vana che gli venga saldato il conto. Il Capo dello Stato dovrebbe avvertire il senso della severità verso una fiscalità vessatoria che reprime le attività economiche e le spreme sotto il torchio tributario che esercita una pressione intensa sulle anemiche strutture imprenditoriali. Ovvio che l'evasione sia disdicevole perché sottrae risorse alla collettività, ma non soffermarsi sull'esosità delle pretese statali significa ispezionare parzialmente il problema e soprattutto non risolverlo. Le censure auliche, emesse dal podio quirinalizio, risultano sbilanciate se esentano la radice da cui rigoglia l'albero dell'infedeltà fiscale. L'elevata pressione fiscale è la radice da cui prospera l'economia sotterranea che escogita sistemi per mimetizzarsi al fine di sopravvivere alla predazione della rapacità fiscale. Oltre una certa soglia di reddito si arriva a pagare il 67% del proprio profitto tra tasse e contributi e tale dimensione onnivora e affliggente della tassazione dissuade a lavorare di più e crea le premesse per sottrarsi alla copiosa donazione di sangue che si traduce in una emorragia massiva che non lascia scampo all' "oblatore" fiscale. Abbiamo la pressione fiscale più alta, all'incirca al 43% del Pil, fra i paesi avanzati dell'Ocse in cui si attesta intorno al 35% e deteniamo anche il primato dell'evasione che è direttamente proporzionale al peso tributario. Dunque, per ridurre l'evasione occorre agire sulla mitigazione fiscale, moderando le aliquote, e sulla semplificazione burocratica, abbreviando l'iter degli adempimenti. Il presidente Mattarella integri i suoi messaggi solenni con la voce dei tartassati, evitando il rischio di evadere dalla realtà.

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