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Ad Atreju la testimonianza choc di un padre di Bibbiano

"Così grazie alle mie denunce è partita l'inchiesta"

Pietro De Leo
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Si parla del dramma di Bibbiano, ad Atreju, nella sessione intitolata come l'inchiesta che ha fatto indignare l'Italia sugli affidi illeciti di della Val d'Enza, Angeli e Demoni. Ma non solo, si parla anche della comunità toscana il Forteto, al centro di un altro grande scandalo di sopraffazioni e violenze. Ad introdurre il senatore Fdi Alberto Balboni,  che osserva: “oggi dobbiamo chiederci perché è accaduto tutto questo”. La parola passa poi al direttore de Il Tempo Franco Bechis, il quale traccia un quadro di queste storie. La realtà  di Bibbiano, spiega, “era stata dipinta da una parte della stampa come un'eccellenza, ma con 1.200 bambini affidati ai servizi sociali occorreva rendersi conto dell'anomalia”. E prosegue ricordando che “il business degli affidamenti sia maggiore, e di molto, rispetto a quello dell'accoglienza dei migranti”. E poi è il momento delle testimonianze, introdotte dalla deputata Maria Teresa Bellucci. Per Bibbiano parla Antonio Margini. “Ricordate quei bambini affidati ad una coppia omosessuale? Ecco, io sono il papà”. E racconta come un matrimonio come tanti sia stato, un bel giorno, interrotto dalla relazione di sua moglie con una donna. “E parte, contro di me, la segnalazione ai servizi sociali. Vengono ad ispezionare la mia casa, 500 metri quadri con giardino e piscina, e viene definita ‘non idonea'. Scelta incomprensibile”. E poi prosegue ricordando, forse, il momento più duro, cioè il provvedimento che gli imponeva di vedere i suoi bambini solo in “incontri protetti”. Emerge il nome della dottoressa Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza (protagonista di questa vicenda assieme allo psicoterapeuta Claudio Foti). “Mi viene detto che io non posso vedere da solo i miei figli perché sono sospetto di essere un omofobo”. Da lì comincia un ciclo di umiliazioni, in cui addirittura questo padre viene rimproverato per come parla con i suoi figli durante gli incontri. “Ho cominciato a registrare tutto, e quando sono arrivato a 7,8 pen drive le ho portate in Procura e di fatto si è creato il ‘la' per l'inchiesta”. L'altra testimonianza, poi, è di Debora Ghillon, Toscana. Fu portata al Forteto, la ben nota comunità di Angelo Fiesoli, a 16 anni, incinta. “Arrivai lì per alcuni problemi che avevo in famiglia. Notai tutte le ragazze che avevano i capelli corti ed erano vestite tutte uguali. Mi venne subito spiegato che la prima regola, lì, era l'amore omosessuale. Per questo motivo c'erano molti ostacoli affinché il padre naturale di mio figlio, un ragazzo di 17 anni, avesse contatti con me e mi venisse a trovare. Un giorno, la mia madre affidataria lo prese a calci, fu l'ultima volta che lo vidi”. Da lì una fase da incubo. “Fui spinta a riconoscere come padre naturale di mio figlio, il figlio di Fiesoli”. Insomma, legata mani e piedi al Forteto. Fin quando, però non sono iniziate le prime denunce, degli altri accolti nella comunità, sottoposti a violenze e costrizioni. Anche Deborah si è unita a quel percorso di ricerca della verità. Ma si capisce che quell'incubo non finisce nè  mai del tutto. 

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