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La Lega blinda Siri: resa dei conti in Cdm. Di Maio: quanto casino per una poltrona

Le dimissioni del sottosegretario infiammano la maggioranza

Davide Di Santo
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Si va avanti, ripetono come un mantra i tre principali esponenti di governo. Ma nonostante tutte le divisioni politiche forse non si è mai stati così vicini alla crisi come sul caso Siri. La mossa del premier Giuseppe Conte, che ha dimissionato in diretta video il sottosegretario leghista accusato di corruzione, ha mandato su tutte le furie il Carroccio. Che a questo punto è tentato di arrivare alla discussione - forse sarebbe meglio chiamarlo scontro - nella riunione del Consiglio dei ministri che dovrebbe tenersi mercoledì o giovedì e in cui, se non dovesse esserci il passo indietro dell'interessato, Conte porterà la sua proposta di revoca, a costo di metterla ai voti. Un'extrema ratio che in realtà vorrebbe evitare a tutti i costi perché potrebbe certificare la spaccatura della maggioranza. Non è un caso che da giovedì sera Di Maio, e i Cinque Stelle con lui, stiano ripetendo che «speriamo non si arrivi a un voto». Ma per i pentastellati non c'è appello: «il caso Siri è chiuso», ribadisce il vicepremier, perché «se non si dimette lui si andrà in Cdm». E «conti alla mano il M5s ha la maggioranza». Non c'è, per il leader dei gialli, un epilogo diverso da quello disegnato dalla sua forza politica fin dall'inizio di questa storia. E dunque «parentesi chiusa» così come ogni ipotesi di rimpasto nell'esecutivo che prenda il via dall'uscita di Siri: «Non credo che che passeremo neanche un minuto a parlare di poltrone, siamo forze politiche che hanno voglia di fare cose concrete», dice Di Maio assicurando che «dopo le europee continueremo a lavorare più di prima». A microfoni accesi la Lega non si sbilancia. Dopo aver ripetuto per giorni che «Siri resta al suo posto», ora quello disegnato da Conte - che appoggia sempre più chiaramente l'ala pentastellata, lamentano dal Carroccio - appare un vicolo cieco con un'unica via d'uscita, a patto di non ingaggiare una guerra di nervi - e di muscoli - che potrebbe mandare il governo gambe all'aria. Non è un caso che di fronte al fiume di dichiarazioni pentastellate Matteo Salvini vada rispondendo da giovedì sera che «non ho tempo da perdere in polemiche. Non mi occupo di beghe e polemiche. Chiedete a Conte. Io lavoro». E tra un comizio e l'altro si lascia andare a qualche battutina: «Presto in Parlamento arriverà la legge della Lega per la galera certa agli spacciatori. Mi vien voglia di far il testa antidroga all'ingresso di Camera e Senato, per vedere se quando vengono a lavorare sono tutti lucidi. Perché ogni tanto mi viene il dubbio...». Non è escluso un confronto con Conte nei prossimi giorni, e nemmeno un vertice a tre prima del fatidico Consiglio dei ministri, per trovare una soluzione politica ed evitare che volino gli stracci. Tace anche il diretto interessato che aspetta di essere sentito dai magistrati, probabilmente la prossima settimana. Il telefono è quasi sempre spento, e quando non lo è, squilla a vuoto. «Da giorni non rilascio alcuna dichiarazione né intervista agli organi di informazione, proprio per il rispetto che si deve in questi casi all'Autorità Giudiziaria, che è giusto che conduca le sue indagini e ascolti le parti interessate senza vizi di comunicazioni esterne», è il messaggio che Siri affida al suo profilo Facebook. «Leggo invece in queste ore dichiarazioni riportate a mio nome che, tengo a sottolineare, sono da ritenersi in assoluto destituite di ogni fondamento» ribadisce assicurando che «non esiste alcuna polemica con il mio partito che, anzi, ringrazio per tutte le manifestazioni di affetto, vicinanza e solidarietà dimostrate in questi giorni».

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