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Tirano il pacco a Salvini sulla flat tax

Alla vigilia del Def il M5s finge di non avere letto sulle tasse il famoso contratto di governo. Tria stringe i cordoni della borsa e Conte si adegua: c'è solo un'aspirina per i redditi bassi

Franco Bechis
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Una cosina velenosa buttata lì uno dopo l'altro dagli esponenti M5S, qualche dichiarazione fumosa del premier Giuseppe Conte e i cordoni della borsa tenuti stretti dal ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che coglie l'occasione al volo. A poche ore dal primo esame del Documento di Economia e Finanza (Def) che conterrà i principi della manovra 2020, tutto fa pensare che sulla Flat tax si stia tirando un pacco a Matteo Salvini e non solo a lui visto che quella riduzione delle tasse è stato il punto programmatico più votato dagli italiani nel marzo 2018. I 5 stelle fanno muro contro quel provvedimento, non potendo dire un no pieno perché citato nell'idolatrato contratto di governo, ma limitandolo a poco più di un'aspirina fiscale. Il premier si adegua, non avendo la forza di fare altro, mentre il ministro del Tesoro gongola per lo scampato pericolo. Il leader della Lega però difficilmente farà buon viso e a differenza delle tante scaramucce quotidiane, questo tema rischia davvero di mandare gambe all'aria il governo Conte. Perché con questo atteggiamento i 5 stelle stanno tradendo i patti fra alleati, non solo scritti chiari e tondi nel contratto, ma anche ribaditi l'anno scorso nella prima legge di bilancio. La manovra 2019 infatti ha l'impronta grillina, avendo al centro il reddito di cittadinanza. Non c'erano soldi per la flat tax, e Salvini abbozzò, accettando di inserire nella manovra solo un pallido anticipo riservato alle partite Iva. Ma si disse che l'anno dopo al centro ci sarebbe stata la tassa piatta voluta dalla Lega. Al momento decisivo però il M5s fa il pesce in barile. Ieri la prima serata tv proponeva da una parte Luigi Di Maio da Fabio Fazio su Rai Uno e su La7 Salvini da Massimo Giletti. Una domenica sera di overdose politica, che farà gridare qualcuno al regime. Avendo fatto zapping fra l'uno e l'altro canale, assicuro che il rischio è scongiurato. Come accade da qualche settimana il principale avversario di Salvini è Di Maio e il principale avversario del vicepremier grillino è il suo pari grado leghista. Entrambi fanno i leader di maggioranza e di opposizione, e in questa condizione agli altri non resta che allinearsi ora qui ora là con uno dei due. Siamo in campagna elettorale per le europee e i due diarchi di governo corrono separati e si picchiano duro come fabbri. Ma saltando dall'uno all'altro sono capitato proprio su Di Maio che parlava della bandiera fiscale dell'alleato, dicendo: «Da parte nostra nessun problema. La flat tax significa abbassamento delle tasse per il ceto medio... la flat tax deve entrare nel Def, ma non se aiuta i ricchi. Deve esserci una minima progressività che aiuta il ceto medio...». Ottimo slogan elettorale, ma che non ha nulla a che vedere con il contratto di governo. Che sul punto dice: «Il nuovo regime fiscale si caratterizza come segue: due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite IVA, imprese e famiglie; per le famiglie è prevista una deduzione fissa di 3.000 euro sulla base del reddito familiare. La finalità è quella di non arrecare alcun svantaggio alle classi a basso reddito, per le quali resta confermato il principio della no tax area». Dunque l'impegno era una riduzione di tasse per tutte le famiglie e le imprese, portando da 5 a 2 le aliquote fiscali e conservando deduzioni e detrazioni per i redditi più bassi in modo da dare loro il consistente vantaggio concesso a tutti gli altri contribuenti. Questo si è impegnato a fare anche il M5s. Si può realizzare per gradi un pezzo all'anno, visto che le risorse sono scarse, ma non negare che debba valere per tutti.

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