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Tria beffa Salvini, Di Maio e Conte

Il titolare dell'Economia dopo avere promosso la collaboratrice che gli contestavano mette tutti nel sacco sul decreto rimborsi ai risparmiatori. I tre costretti a subire il diktat

Franco Bechis
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A vedere Giovanni Tria, il ministro dell'Economia, ti verrebbe voglia di mettergli vicino due body guard di quelli ben piantati. Lui piccolino, sempre sorridente, all'apparenza indifeso come potrebbe cavarsela altrimenti in mezzo a tutti quegli energumeni del governo gialloverde? Un giorno gli abbaia addosso Luigi Di Maio, l'altro gli ringhia Matteo Salvini. Perfino il mite Giuseppe Conte andando con gli urlatori ha imparato ad mettere qualche grido, sia pure con voce garrula. Da qualche giorno ce l'hanno tutti con lui e quando lo vedi in mezzo a quelli lì ti fa subito simpatia, ti verrebbe da proteggerlo. In questi giorni però Tria ha mostrato di non avere bisogno proprio di alcuna scorta, perché a difendersi è bravissimo da solo, tanto è che gli energumeni li ha messi tutti nel sacco. Il ministro era finito nel loro mirino per due cose. La prima appare banale e non lo è: al ministero dalla fine della scorsa estate ha preso con sé una collaboratrice grande amica della moglie, Claudia Bugno. Ha un buon curriculum, quindi non è quello il problema. Solo che una volta salita ai piani alti del potere la signora si è allargata un po', provocando ovvio risentimento. In una situazione così se non tutto fila a regola d'arte, prima o poi te la fanno pagare. E uno scivolone la Bugno ha in effetti compiuto, perché dopo che lei era arrivata al ministero il suo compagno che fa l'imprenditore ha pensato bene (ma non troppo) di assumere il figliastro di Tria. La cosa ha fatto qualche scalpore, e anche scandalizzato la maggioranza di governo, che non ne ha fatto mistero quando il ministro ha pure proposto la Bugno per il consiglio di amministrazione di una grande società come Stm Microelettronics. Con toni burberi gli hanno chiesto di ritirare quella nomina e di lasciare a casa la collaboratrice. Tria deve avere pensato che can che abbaia alla fine non morde, e ha fatto spallucce. Anzi ha preso in giro i suoi contestatori facendo ritirare alla Bugno la candidatura per quel cda e infilandola subito in un altro prestigioso posto come l'Agenzia spaziale italiana. Tria si è dimostrato così più forte di Salvini, Conte e Di Maio messi insieme. E lo è, semplicemente perché i tre non hanno nessuno di spendibile per sostituirlo. Allora i due vicepremier si sono messi ad abbaiare su un argomento popolare come quello dei decreti attuativi per i rimborsi ai risparmiatori truffati che il ministro dell'Economia tardava a firmare. Anche Conte, incoraggiato dai due, ha provato a fare la voce grossa, annunciando che oggi quei decreti entreranno nel testo del decretone sulla crescita che deve approvare il consiglio dei ministri. Ma non è vero, perché alla fine anche qui comanda Tria: i decreti resteranno al suo ministero, e verranno firmati solo una volta sciolti i problemi che ci sono. Su questo il ministro dell'Economia ha pure ragione da vendere. Perché Salvini e Di Maio hanno promesso il risarcimento degli investimenti a tutti i risparmiatori che abbiano titoli e obbligazioni di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di Ferrara, Cassa di Chiesi e delle due popolari venete a patto che abbiano subito «ingiusto pregiudizio» nella sottoscrizione di quegli investimenti. Ma come si fa a sapere se hanno subito ingiustizia? Tria dice: «lo deve stabilire la magistratura o un'autorità competente come Anac o Consob che abbia esaminato ogni singolo caso. Altrimenti io non firmo”. Ed è sacrosanto, tanto più che la promessa di rimborso vale anche per chi abbia azioni che erano quotate in borsa come quelle di Etruria. In effetti perché mai bisogna risarcire chi liberamente avesse deciso di comprare ad esempio nel 2010 e poi aveva ancora azioni in mano quando queste avevano perso il 90% del loro valore? Lo ha fatto liberamente, conoscendo i rischi che ci sono sul mercato azionario. Perché lui deve essere risarcito alla pari di chi si è visto infilare dalla banca di fiducia titoli non quotati e obbligazioni nel proprio portafoglio, o addirittura è stato minacciato di non avere il finanziamento o il mutuo richiesto se non avesse fatto quell'investimento? Quindi ci deve essere qualcuno che esamina i casi e dice «questo sì, questo no». Altrimenti si creerebbero i presupposti per chissà quante azioni giudiziarie. Il tipo ad esempio che ha investito in Mps perché aveva sentito da Matteo Renzi premier che sarebbe stato un affarone e invece ha perso un capitale, non avrebbe lo stesso diritto al risarcimento? Così non si finisce più. Tria ha ragione su questo e torto sulla vicenda della Bugno. Ma nell'uno e nell'altro caso ha fatto quello che voleva. Mettendo tutti nel sacco e dimostrandosi più forte di loro.

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