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Quarant'anni di appelli-fotocopia: a sinistra chi si firma è perduto

Roberto Begnini prende in braccio Enrico Berlinguer

Il riflesso condizionato degli intellettuali rossi: se qualcosa non piace, vai con la petizione

Emanuele Ricucci
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C'è poco da fare, puntuale come l'arrotino. Fa caldo? Piove troppo? Hai prurito nelle zone intime? Un manifesto dell'intellighenzia di sini- stra è la risposta. Adesso tocca alla rivista Rolling Stone. Artisti, letterati, intellettuali, tutti contro il Ministro Salvini. «Noi non stiamo con Salvini». Contro «chi ci costringe a diventare conservatori. Not in my name, non nel mio nome (...) l'Italia rimanga una società aperta, moderna, libera e solidale». Firmato, tra i tanti (e fate partire la intelletu-ola): Chef Rubio, Negramaro, Emma Marrone, Ermal Meta, Gabriele Muccino, Daria Bignardi, Gemitaiz, Fabio Fazio, Erri De Luca, e su tutti Enrico Mentana. Che però, a distanza di neanche qualche ora smentisce sulla sua pagina Facebook: «Quando voglio dire qualcosa, la dico. Il suo direttore (di Rolling Stone, ndr) mi aveva chiesto l'adesione, e la risposta è stata chiara... "No"». Sinistrash. Quella sinistra che fa la morale a forza di insulti, di appelli, e ricatti - se firmi sei parte della società, altri- menti sei un brutto animale, come nel caso dell'anagrafe antifascista di Stazzema -, che ha elevato la rosicata ad arma di lotta politica. Qualsiasi cosa accada, occorre un manifesto degli intellettuali e degli artisti, degli ulteriori, degli illuminati, dei sapienti. Un pappone di nomi, cognomi e pedigree e si pulisce la coscienza di bravi compagni. Poi si torna ai concerti milionari, ai libri, alle convention, agli inviti esclusivi, alle proiezioni in cecoslovacco della trilogia dei colori di Kieslowski. Messa la firma, passa la paura. Cambiano gli obiettivi, spariscono le falci e martel- lo, si ingrassano le tasche dei firmatari con carriere sfolgoranti, ma il manife- sto rimane una lagna anti- ca, una delle rare connessioni tra la sinistra delle periferie, degli ultimi, di ie- ri, e quella che ormai è periferia della realtà, ultima in tutto, di oggi. La faccia si mette fintanto che non nuoce all'immagine o al portafoglio. Nella Parigi dell'intellettuale engagé, ricorda il giornalista Luigi Mascheroni, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir possedevano la delega in bianco per 68 firme: quando la coppia sottoscriveva un appello, automatica- mente compariva la lista degli altri firmatari, sempre pronti a sostenere ogni causa. Di anno, in anno, la liaison tra i radical kitsch e gli appelli si rinsalda. Un riflesso pavloviano. Come per Sartre e De Beauvoir, nel momento in cui Repubblica o Micromega, ad esempio, tra le più attive in tal senso, chiamano, l'esercito risponde. Indimenticabili le condanne delle firme: nel 2013, con firme pesanti come quella di Zagrebelsky, Rodotà ed Eco, per chiedere agli italiani di votare per il centrosinistra e offrire all'Italia «un governo stabile, autorevole, rispettabile». O su Micromega quando, sempre nel 2013, si lanciò nella crociata firmata per dichiarare l'ineleggibilità di Silvio Berlusconi. Tra i firmatari Camilleri, Fo e Hack. E poi la lettera/appello nel 2017 perché il governo approvasse lo Ius soli. Tra i no- mi, geni, eruditi, come Roberto Saviano, Susanna Tamaro e Serena Dandini. Per non parlare degli appelli minori, stessa polti- glia, meno visibilità. Come quando tabaccai, lavasecco, bar (tutto vero...), centri sociali, collettivi come Wu Ming, artisti, residenti, struzzi, giocatori di cricket, firmarono nel 2011, per impedire a Casa Pound anche solo di aprire una sede a Bologna. O ancora la lettera aperta, lo scorso febbraio, di «studiosi e studiose delle estreme destre», a scopo inquisitorio, ovviamente, indirizzata alla Fondazione Feltrinelli, «colpevole», secondo loro, di aver invitato a parlare a Milano, Alain De Benoist e Florian Philippot. Decine e decine di casi, di appelli. Da quarantanni. Quasi tutti finiti nel vuoto. Segnaposto esistenziali. Per costoro, la firma diventa una giustificazione di esistenza, di un'identità evanescente. Un disperato confine tangibile da segnare, oltre la militanza virtuale che, via, via, perde di mordente sul corpus sociale, vedasi la fine del Pd. Sovversivi dal post facile su Instagram, impossibili da avvistare mentre incrociano le braccia con gli operai, o a manifestare per i disoccupati o le partite Iva. Manifesto dell'ejaculazione precoce, del take away. Chi si firma è perduto. 

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