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Martina segretario e congresso prima delle Europee. Scontro tra Renzi e Zingaretti

L'ex premier non risparmia stoccate alla minoranza. Il governatore del Lazio: "Io sono in campo"

Daniele Di Mario
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Maurizio Martina è stato eletto segretario del Pd dall'Assemblea: circa 200 firme a sostegno della sua candidatura e, al momento del voto, 7 contrari e 13 astenuti. Dopo una sfibrante mediazione, a tenere insieme tutte le anime del partito è stato il mandato a termine del neo segretario, che nel suo discorso si è impegnato a convocare il Congresso «entro le elezioni europee». Una formula inserita ancor più vagamente nell'Odg finale approvato dall'Assemblea (congresso da tenere «in vista delle europee») che i big del partito avrebbero concretizzato con una intesa per primarie entro febbraio, il 24 probabilmente. Ad inizio settimana Martina annuncerà la nuova segreteria condivisa, mentre le tappe principali del percorso «aperto» e «nuovo» dei dem sono i congressi locali entro dicembre, un forum programmatico a Milano a ottobre e un'altra Assemblea entro fine anno per formalizzare le primarie. Ma sull'Assemblea ha lasciato il segno Matteo Renzi, con un intervento che non ha risparmiato stoccate dentro e fuori il partito. «Non me ne sono andato quando conveniva e non me ne vado ora. Rispetterò le decisioni dell'Assemblea e darò il mio contributo», ha premesso il senatore dem invocando unità: «Sono ottimista sul fatto che la musica cambierà, si può ripartire ma senza considerare nemico chi sta a fianco a noi». È stato nell'analisi delle ragioni della sconfitta che Renzi non ha fatto sconti a nessuno. «La responsabilità è mia, lo dico con la consapevolezza che questo non basta», è stata la sua premessa. Nello svolgimento, però, il senatore ha puntato il dito sulla minoranza ai tempi della sua segreteria: «Hanno picchiato contro l'argine del sistema, sul web e con divisioni assurde che hanno fatto il male del Pd». L'ex segretario si è rivolto alla sinistra («si è visto, poi, che l'alternativa al Pd non era la scissione o Leu ma la destra e Salvini»), sulle possibili formule nel futuro del Pd («la ripartenza non può essere in simil Ds o simil Unione»), sulla stampa e gli intellettuali pro M5S («hanno fatto la guerra al Matteo sbagliato e ora si ritrovano il governo Salvini»). E anche parlando dei compagni di partito, Renzi si è tolto più di un sassolino dalla scarpa: ha criticato «l'apatia» come segno della campagna elettorale e il «falso nueve» (Gentiloni?) e sul caso Consip ha spiegato: «Non mi sarei aspettato più affetto dalla gente, perché quello non è mai mancato, ma maggiore solidarietà nel partito». Poi, tra qualche brusio della platea, ha spiegato: «Continuate così, ci vediamo al Congresso, perderete di nuovo e come sempre comincerete a criticare chi ha vinto. Ma così segate il ramo su cui siete seduti». All'ex segretario ha risposto Gianni Cuperlo: «Io non vedo nostalgie, oggi non si può cantare 'Bandiera rossà ma nemmeno sostituirla con 'Uno su mille ce la fà». Nicola Zingaretti ha rintuzzato: «Renzi non si predispone all'ascolto degli altri, un limite». Mentre Martina ha espresso il suo auspicio di un Pd «che suona come un'orchestra». A margine, Zingaretti ha ancora una volta ribadito, «io sono in campo». Per ora, l'unica candidatura formale alle primarie.

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