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Renzi in piazza del Popolo: "Non siamo quelli del Vaffa, siamo il futuro del Paese"

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Katia Perrini
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Il passato contro il futuro, chi sa solo «insultare e dire no» contro chi «ha come destino» quello di prendere per mano il Paese e farlo tornare ad essere leader. Mancano 36 giorni al referendum costituzionale - è Matteo Renzi in persona a tenere d'occhio il countdown - e il presidente del Consiglio sceglie piazza del Popolo per dare il via all'ultimo round della battaglia. Sotto al palco ci sono migliaia di bandiere Pd che si alternano a quelle dell'Ue e sventolano sulle note di Bella ciao, nel backstage ministri e parlamentari si lasciano andare a sorrisi liberatori man mano che, complice anche una splendida giornata di sole, tutta l'area si riempie. Il segretario del Pd marca subito le differenze con altri "ospiti" della stessa piazza. «Non siamo quelli del Vaffa, proviamo insieme a fare una proposta per il futuro del paese», esordisce. Per farlo, però - sottolinea - il Pd deve essere unito. «In questi mesi abbiamo avuto discussioni, qualche litigio di troppo - ammette -. Il nostro destino non è litigare nostro interno ma cambiare l'Italia. E farlo adesso». Il messaggio in bottiglia è per i dirigenti dem della minoranza, grandi assenti alla manifestazione. L'unico presente, un po' a sorpresa, è Gianni Cuperlo. Arriva a metà pomeriggio, accolto dal vicesegretario dem Lorenzo Guerini che è praticamente costretto a "scortarlo" fino all'area palco. Sono tanti i manifestanti che vogliono stringergli la mano: «Bravo, dobbiamo stare uniti. Lasciali perdere quegli altri», gli dicono. Lui sorride a mezza bocca: «In questa piazza c'è un pezzo del popolo della sinistra, c'è la nostra gente: mi sembrava giusto passare - spiega - ma penso anche a quel pezzo del popolo della sinistra che in questa piazza non c'è». La telefonata avuta con Guerini al mattino e il selfie concesso a Maria Elena Boschi sotto al palco non scioglie però i dubbi dell'ex diesse sulla legge elettorale. «Io fino all'ultimo spero possa esserci un accordo - ribadisce - ma se questo atto non dovesse esserci, saremo costretti a non sostenere questa riforma». Dal palco Renzi non concede segnali incoraggianti: «Non abbiamo aperto ma spalancato le porte sulla legge elettorale - ricorda - Ora non si usi la legge elettorale come alibi perché siamo pronti a cambiarla. Il punto non è più questo ma è se vogliamo continuare a guardare soltanto la nostra storia o ci va di parlare finalmente del futuro del Paese». Di più. Il voto del 4 dicembre, nel ragionamento del premier, darà sì vita al "partito della nazione", ma - attacca il segretario Pd - «il vero partito della nazione è quello del "No", che mette insieme Travaglio e Brunetta, che dice no da Berlusconi a D'Alema, da Salvini a Grillo. Può dire solo di no, questo è il partito che vuole bloccare l'Italia». Ecco allora l'avviso alla "vecchia guardia": «Sostengono che se l'avessero scritta loro sarebbe stata migliore. Può darsi: il punto è che non l'hanno scritta - attacca - l'hanno discussa, contestata, chiacchierata, digerita e poi si sono dimenticati di scriverla. Il fatto che voi avete fallito non vuol dire che dovete far fallire noi». Basta allora con i litigi, «riprendiamoci il Paese«. Anche perché, ne è convinto il premier, un'Italia più stabile e forte serve per far rinascere l'Europa. Renzi si dice "sorpreso" di trovarsi da solo nella battaglia che sta conducendo in Europa contro l'austerità e sul fronte immigrazione. La replica al premier unghere Viktor Orban scalda la piazza: "Gli ricordo sommessamente - sottolinea - che l'Italia è non solo tra i Paesi che dà più soldi in Ue contro quelli che prende, ma che si è messa in gioco per dare la libertà all'Europa e prima di parlare dell'Italia si sciacqui la bocca". Anche Bruxelles, poi, è avvisata: "Non accetteremo mai di inserire il fiscal compact nei Trattati, se ne facciano una ragione". Non si tratta di populismo, sottolinea: "È una battaglia che non è demagogica o contro l'Europa ma per restituirle l'anima". "Essere progressisti - chiosa Renzi prima di scendere giù dal palco e concedersi ai selfie sulle note di People have the power, di Patty Smith - è avere il coraggio di costruire il futuro, non stare ad aspettarlo. Tocca a noi decidere se costruire il futuro o fare come quando passa il treno e non si sale: per paura, per pigrizia, per ritardo. Noi ci dobbiamo salire sul treno e guidarlo».

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