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I venerdì segreti di Enrico e Giorgio Due «nemici» che si rispettavano

Carlantonio [email protected] Questa è una storia che risale più o meno a mezzo secolo fa, anche se sembra passato molto più tempo. È la storia di un periodo italiano in cui si poteva...

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Questa è una storia che risale più o meno a mezzo secolo fa, anche se sembra passato molto più tempo. È la storia di un periodo italiano in cui si poteva essere nemici in politica ma al tempo stesso rispettarsi. È la storia dei rapporti di Giorgio Almirante con i vertici del Pci. E in particolare con Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta e Nilde Iotti. La racconta a Il Tempo Massimo Magliaro, che di Almirante fu l'inseparabile capoufficio stampa. Oltre che l'amico. GIORGIO ED ENRICO Per una volta è meglio partire dalla fine. Dal 12 giugno 1984. Quando Almirante, sorprendendo collaboratori e opinione pubblica, andò a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer. A Botteghe Oscure, nella tana del nemico. «Arrivai a casa sua alle 8.30 - ricorda Magliaro - e vi trovai un Almirante scosso. Ho sempre pensato che, oltre al dolore, fosse anche colpito da come era morto Berlinguer. Forse era la morte che avrebbe voluto anche lui, sul campo, da combattente. Poi io, Giorgio e Mario, il suo autista, salimmo in macchina per recarci a via della Scrofa. Solo che all'altezza del Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale, Almirante chiese a Mario di non girare per via del Traforo e di proseguire per piazza Venezia. Mario mi guardò attraverso lo specchietto retrovisore, eravamo sbiancati, sapevamo cosa stava succedendo a Botteghe Oscure, c'era la camera ardente di Berlinguer». Il resto fa parte della storia nazionale. Almirante che, a piedi, passa attraverso una folla stupita - ma non ostile - che si apre come il Mar Rosso davanti a Mosè. Il leader del Msi che entra a Botteghe Oscure (e inizialmente sbaglia l'ingresso, scegliendo quello delle persone "normali" invece che quello dei politici) e viene ricevuto da Pajetta e Iotti. All'uscita, poi, torna da Magliaro e gli dice: «È andato tutto bene, puoi chiamare mia moglie e dirle che è andato tutto bene». Donna Assunta, a differenza di tutti, sapeva della scelta del marito. Insieme ne avevano parlato la notte precedente. E, ovviamente, era molto preoccupata. I VENERDÌ A MONTECITORIO Almirante stimava Berlinguer, lo ripeteva spesso. Apprezzava il suo essere «una persona perbene». Ma c'era dell'altro. Sì, perché lontano da occhi indiscreti i due leader si erano incontrati a più riprese. Donna Assunta ha parlato dei «vertici» a Villa Borghese. Magliaro svela quelli alla Camera. «Ho assistito a quattro incontri. Accadde sempre di venerdì pomeriggio, al quarto piano di Montecitorio, tra le 16 e le 17. Il momento in cui praticamente non c'era più nessuno a parte qualche commesso. Io accompagnavo Almirante, con Berlinguer c'era Antonio Tatò. I due leader parlavano tra di loro, io e Tatò stavamo lontano senza poter ascoltare quello che si dicevano». Erano gli anni più bui del terrorismo, facile immaginare di cosa parlassero i due leader. «Credo che discutessero di come fronteggiare i canali di continuità tra i propri partiti e le frange estremiste». Tanto Almirante che Berlinguer erano considerati dai terroristi dei «traditori» da eliminare. «Un giorno - racconta ancora Magliaro - Almirante aprì il suo portacarte sulla scrivania e vidi una cartolina postale che gli era arrivata dal carcere dell'Isola d'Elba. L'aveva mandata Mario Tuti, fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario. C'era scritto: "Il tribunale ti ha condannato a morte"». «RISPETTALO SEMPRE» Fare politica, all'epoca, significava rischiare la vita. L'odio tra le diverse fazioni era tale che tra «comunisti» e «fascisti» era vietato persino salutarsi. E questo non valeva solo per i leader, ma anche per i parlamentari di terza fascia. Per lo meno in Italia. All'estero, lontani dall'ipocrisia dell'arco costituzionale e della «conventio ad excludendum» nei confronti del Msi, le cose andavano diversamente. E poteva capitare che - rivela Magliaro - nel 1984 Giorgio Almirante, Pino Romualdi e Giancarlo Pajetta sedessero insieme in un ristorante a Strasburgo, vicino all'Europarlamento, mangiando stinco di maiale e scherzando. Perché quanto valeva per Berlinguer, Almirante lo pensava anche per Pajetta. È il 1963. Almirante entra a Montecitorio per la seduta inaugurale della legislatura. Accanto a lui c'è il fedelissimo Franco Franchi, che richiama l'attenzione del leader su una persona dall'altra parte dell'emiciclo: «Ma è Pajetta quello lì?». «Sì, ricordati di rispettarlo sempre - gli risponde Almirante - perché è un grande combattente che ha sempre pagato di persona». Non c'è da stupirsi se quando ad andarsene fu il leader del Msi, alla camera ardente si presenterà proprio l'ex partigiano. «Rimase raccolto davanti alla salma per un tempo che mi sembrò lunghissimo - racconta Magliaro - fu un momento di grande partecipazione, non un gesto formale». L'omaggio di un combattente a un altro. LA DONNA DEL «MIGLIORE» Quel giorno a via della Scrofa c'era anche Nilde Iotti. Era la presidente della Camera. Normale, quindi, un suo omaggio a uno dei parlamentari più importanti. «Ma i rapporti erano già all'insegna del rispetto e della stima reciproca - ricorda Magliaro - e me ne accorgevo quando i due si incontravano nell'ufficio della Iotti a Montecitorio. Almirante aveva il suo modo di fare galante, le faceva il baciamano. Lei non si comportava in maniera fredda, come ci si sarebbe potuti aspettare da colei che era stata la compagna di Togliatti, il "Migliore". Non faceva come Pertini, insomma, che quando Almirante si recava al Quirinale per le consultazioni lo ascoltava a stento. E la sua umanità si percepì anche davanti alla salma di Giorgio. Rimase per molto tempo a parlare con Donna Assunta, si tennero per mano». Altri tempi, altre presidenti della Camera.

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