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Come uccidere per via giudiziaria un'acciaieria leader

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Daoggi sappiamo che non solo è incerta un'inversione del ciclo economico nell'anno appena iniziato, ma che pure l'equilibrio dei conti pubblici e la stabilità monetaria (presupposti indispensabili di ogni strategia di crescita) non sono acquisiti una volta per tutte, nonostante i sacrifici richiesti agli italiani. Il Paese, dunque, rimane ancora alla ricerca di un futuro. Ma l'Italia merita di salvarsi oppure è inevitabile che si incammini lungo il sentiero di un inesorabile declino? Quando penso alle vicende dell'Ilva mi convinco che un sistema-Paese orientato e pervicacemente proteso ad uccidere, per via giudiziaria, la più grande acciaieria d'Europa non ha diritto ad una prospettiva di ripresa. La storia dell'azienda di Taranto è nota. Dopo molti mesi di braccio di ferro con la Procura speravamo che il decreto convertito dal Parlamento nelle ultime ore della legislatura avrebbe consentito allo stabilimento di «tirare il fiato», intraprendendo - con impianti ancor funzionanti - quell'opera di risanamento ambientale, (necessariamente graduale e rispondente agli standard di sicurezza stabiliti a livello europeo e non secondo qualche cervellotica valutazione di un pm) che è diventata la condizione irrinunciabile per la continuità produttiva di impianti strategici per il sistema industriale italiano (sei milioni di tonnellate dell'acciaio prodotto sono destinate alle imprese del Nord, di cui due milioni nella sola Lombardia). Al massimo, rimaneva da attendere il responso della Consulta sul ricorso presentato dai magistrati tarantini. Confidavamo, ovviamente, nel senso di giustizia dei «giudici delle leggi». Invece no. L'amministrazione comunale di Taranto ha deciso di promuovere, per il prossimo 14 aprile, un referendum sul futuro dell'Ilva. Ai cittadini saranno sottoposti due quesiti: lo stabilimento deve chiudere oppure è sufficiente che chiuda l'area a caldo? Sarebbe come decidere se una persona debba essere giustiziata da un plotone d'esecuzione oppure mediante un solo colpo alla nuca. A coloro che vogliono la continuità produttiva insieme al risanamento, sarà concesso di non andare a votare nel tentativo di non far scattare il quorum. E come si difendono i lavoratori al cospetto di una assai poco lusinghiera prospettiva ? Chiedendo la nazionalizzazione dell'Ilva, come se bastasse un'operazione siffatta per salvare il posto di lavoro e tutelare la salute. Tanti, in questi giorni, invocano lo slogan di una «politica industriale», nello stesso momento in cui assistono impotenti alla devastazione di un gruppo che ha la sventura di produrre acciaio e non zucchero filato. *Scelta civica con Monti

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