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Il successo di Berlusconi da Santoro deve aver indotto Monti a pensare che il Cav non è così in disarmo come nel centrosinistra qualcuno vorrebbe far passare con una grande dose di semplicismo.

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Ieriparlando ad Orvieto al seminario di LibertàEguale, (i montiani del Pd) ha lanciato messaggi di distensione se non di avvicinamento al partito di Bersani. Dopo aver rifiutato la possibilità di un accordo post elettorale e dopo tante punzecchiature a distanza, il Prof ha mostrato maggiore disponibilità al dialogo. Gli interlocutori sono sempre quei riformisti dell'ala moderata del Pd che Monti continua a corteggiare ora non più per la campagna acquisti, già conclusa, ma per le strategie del dopo elezioni. «Auspico che qualunque sia l'esito delle prossime elezioni - ha detto ai liberal del Pd riuniti a Orvieto - si faciliti la cooperazione tra i punti riformisti che esistono più o meno in tutti i partiti». I segnali di pace non possono non essere graditi a Bersani che ora sente di più il fiato sul collo di Berlusconi. Ed il pericolo di una rimonta è avvertito anche da Monti che, dopo giorni di euforia («siamo al 15%» diceva fino a poco fa) comincia a mettere in conto di poter tornare a fare il professore. «Da molto tempo non sono più capace di fare relazioni introduttive ma probabilmente presto mi riaddestrerò per questo mestiere» ha detto consapevole che la strada verso l'appuntamento elettorale è irta di ostacoli e che sebbene continui a considerare superata la classica distinzione fra destra e sinistra, è con i due poli che deve confrontarsi. Mette in guardia dal pericolo del populismo che si è manifestato già prima della crisi economica come «rigetto dell'integrazione europea» e dice anche che i populismi «derivano da come i leader comunicano». Poi rilancia la centralità che l'Europa deve avere per qualsiasi governo e sottolineando il lavoro svolto dai ministri Moavero e Barca elogia il suo governo, «non ce n'è mai stato uno geneticamente europeo come il mio». Mentre strizza l'occhio ai riformisti, Monti stuzzica l'ala più radicale della sinistra e da vero Prof mette i voti. Scherza su Nichi Vendola e Stefano Fassina. «Vendola non l'ho visto in azione in Parlamento da quando ci sono io». Gli fanno notare che anche il responsabile economico del Pd si candida per la prima volta. E il premier uscente esclama con sorpresa: «Fassina non è in Parlamento?». Poi si riprende dalla gaffe: «Non c'era ma è così presente nel dibattito… I laureati alla Bocconi esercitano tanta influenza anche nei luoghi dove non siedono». Mentre punge Fassina promuove l'Udc e Fli. «Casini e Bocchino, forse per ragioni tattiche, comunque hanno creato meno difficoltà alle riforme strutturali che abbiamo avviato, molte delle quali hanno trovato limiti severi perchè i conservatori presenti in una parte o nell'altra del Parlamento hanno tentato di porre dei limiti». Puntuali arrivano le critiche ai governi che lo hanno preceduto. «L'Italia è stata complice» delle decisioni in sede comunitaria che hanno «consentito a Francia e Germania di farla franca» quando sforarono il Patto di stabilità nel 2003. Il nostro Paese ricorda il Professore «allora presiedeva l'Ecofin e allora iniziò una storia di declino dell'Eurozona che abbiamo impiegato tanti anni per ricostruire». Ma l'Italia, secondo il premier, non va presa ad esempio dalla politica europea. «Dio ce ne scampi» avverte il Prof sottolineando la «crescente inadeguatezza degli schemi politici classici, compreso l'asse destra sinistra». «A livello europeo non credo sia un difetto questa gestione consociativa che lamento quando c'è a livello nazionale. Perchè il fatto che la Commissione Ue sia strutturalmente composta da socialisti, popolari, liberali, io lo vedo come un plus», ha spiegato Monti osservando come una connotazione politica della commissione creerebbe problemi: «Se una commissione di destra sanzionasse un governo nazionale di sinistra, si potrebbe parlare di decisione connotata politicamente».

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