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Il ritorno a Forza Italia, l'uscita «agevolata» degli ex An, un partito di facce nuove con solo il 10 per cento degli attuali deputati riconfermati, la bufala dello spread che sale e scende a seconda della sua presenza sulla scena politica.

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Esoprattutto quel «che c'importa del debito pubblico» che ha fatto balzare sulla sedia più di un imprenditore. Silvio Berlusconi è intervenuto ieri mattina al programma di Maurizio Belpietro su Canale 5 «La Telefonata» e si è immediatamente gettato in campagna elettorale. Spargendo sul tavolo tutti gli argomenti che alimenteranno il confronto politico dei prossimi due mesi. Iniziando dal tema della speculazione finanziaria, diventato il cavallo di battaglia del centrosinistra: «Smettiamola di parlare di questo imbroglio, di spread non si era mai sentito parlare se non da un anno a questa parte». Poi l'attacco a testa bassa: «Che cosa ci importa degli interessi che il nostro debito pubblico paga a chi investe nei nostri titoli rispetto a quello che pagano gli investitori che investono nel debito pubblico tedesco». «A noi cosa importa del differenziale con la Germania? – ha insistito Berlusconi – Tutto quello che si è inventato sullo spread è un vero imbroglio. La verità è che si è usato lo spread per cercare di abbattere un governo votato dagli italiani». Nel mirino del Cavaliere finisce, ovviamente, il governo tedesco e la sua Cancelliera Angela Merkel. Con la quale Berlusconi non ha mai avuto un gran feeling. E sotto accusa c'è la politica spregiudicata della Bundesbank che ha approfittato delle difficoltà economiche di alcuni Paesi, come Spagna, Portogallo, Grecia e Italia per finanziarsi. «La Germania – si è sfogato l'ex premier – ha approfittato di tutto questo, disponendo dell'unico debito sovrano assolutamente solido e sicuro e ha abbassato all'uno per cento i tassi per gli investitori nel loro debito pubblico. Ma a noi cosa importa che la differenza sia tra l'uno per cento e il 6 per cento nostro? Quello che ci importa è che i nostri tassi, che dobbiamo pagare per avere investimenti nel nostro debito pubblico, sono aumentati del 2 per cento. Il che in un anno fa meno di 5 miliardi di spese in più che si aggiungono agli 80 miliardi che ci costa il servizio del debito». Dunque, è la conclusione, «tutto quello che si è inventato sullo spread è un vero imbroglio». Berlusconi rifiuta anche l'etichetta di essere l'uomo che ha portato l'Italia a un voto anticipato, mettendo in agitazione tutta l'Europa. «L'anticipo delle elezioni è dovuto alle dimissioni di Monti e poi si tratta solo di un anticipo risibile di poco più di un mese. Non c'è nessuna ragione perché i mercati si debbano agitare». Piuttosto la situazione drammatica del nostro Paese è colpa della politica economica dell'attuale premier che ha «portato l'Italia in recessione». «Io non voglio dire che ci sono stati errori o altro – è il ragionamento – so che purtroppo, avendo il governo Monti seguito la politica germanocentrica che l'Europa ha cercato di imporre a noi e agli altri Stati, ha portato a una situazione di crisi molto diversa e molto peggiore di quella in cui ci trovavamo quando ancora eravamo noi al governo». «Fin quando sono stato a rappresentare l'Italia nei consigli dei capi di Stato e governo – ha concluso – ero tra i più autorevoli, l'unico a venire dal mondo del lavoro». «Certo – è la stilettata finale – mi opponevo con continuità alle richieste tedesche». Esaurito il capitolo finanziario Berlusconi è passato al nuovo Pdl che ha in testa. Che potrebbe tornare al vecchio nome e al vecchio simbolo di Forza Italia del '94 – perché l'acronimo Pdl non ha più molto appeal secondo l'ex premier – ma soprattutto composto da facce nuove, un mix di imprenditori e giovani amministratori. E nel quale, soprattutto troverebbe spazio solo il 10 per cento degli attuali parlamentari. «Stiamo pensando ad un movimento con forze nuove – ha annunciato – il 50% deve essere preso dal mondo del lavoro e delle imprese, il 20% dagli amministratori locali che si sono comportati bene, un 10% dal mondo della cultura e delle università e un altro 10% dai parlamentari attuali». Parole che molti deputati e senatori hanno letto come il de profundis alle loro speranze di continuare la carriera politica. Gettandoli letteralmente nel panico. Tanto che da palazzo Grazioli, qualche ora dopo, è arrivata una correzione per cercare di rendere le frasi di Berlusconi meno «pesanti»: «Appare evidente che non sarà soltanto il 10% dei parlamentari uscenti del Popolo della Libertà ad essere ricandidato. È bene chiarire che tutti quei deputati e senatori che provengono dalla trincea del lavoro, che hanno svolto o stanno svolgendo un'attività lavorativa, e non hanno una provenienza solo politica, saranno ricompresi in quella quota del 50% dei provenienti dal mondo del lavoro suggerita stamani dal presidente Berlusconi». In realtà quella frase non è stata detta a caso. Anzi. Serve a Berlusconi per «spingere fuori» tutti coloro che non si sentono più garantiti. Convincendoli a fare quella scissione che da settimane è nella testa di un nutrito gruppo di parlamentari ex An. Ipotesi che il Cavaliere vede come la soluzione migliore. «Con il Porcellum – è il ragionamento fatto nell'intervista telefonica a Canale 5 – si confrontano due coalizioni e tutti i partiti sommano i voti tra loro e vince la coalizione con la somma più alta. In questo caso se chi proviene da An volesse fare la propria formazione avremmo dei vantaggi, perché la somma di voti supera quelli di un'unica formazione». «Stiamo parlando amichevolmente e con stima l'uno dell'altro – è la rassicurazione – per vedere se far dare vita a un gruppo con i protagonisti della storia di destra». L'amo è gettato. Ora Berlusconi deve solo aspettare per vedere chi abbocca.

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