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La vendetta resta un sogno irrealizzato Rimaniamo un tabù

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MarioBalotelli, con la sua splendida doppietta, traduce in cifra la partita esemplare dell'Italia. La vendetta resta un sogno irrealizzabile per la Germania, mai vittoriosa sugli Azzurri in un incontro ufficiale. Insignificante il rammarico per il rigore (generoso) trasformato da Ozil dopo due minuti di recupero, la finale di Kiev è roba nostra. Con pieno diritto, perché con maggiore attenzione nell'area tedesca il bilancio attivo avrebbe potuto essere ancora più consistente. Qualche disagio di fronte al veemente avvio di ripresa dei tedeschi, come sempre duri a morire, poi un controllo tutto sommato disinvolto, qualche bella parata di Buffon che però non deve imporsi miracoli, la squadra gira, produce gioco e manovre talvolta esaltanti, attorno a Pirlo De Rossi e Marchisio sputano sangue, con bravura pari alla determinazione, la difesa regge alla grande. Vani i tentativi di Loew di recuperare terreno inserendo Klose, Reus e Muller, la diga regge, i pericoli veri li corre l'altra porta, purtroppo non si riesce a dare il colpo del fuori combattimento, ma la partita non sembra mai sfuggire dalle mani degli Azzurri, da tempo mai autoritari e sicuri dei loro mezzi come in questo magico Campionato d'Europa. Certo, manca ancora l'ultimo gradino, per una scalata al sogno. Il più impervio, contro la squadra più forte del mondo, ma questa Italia non deve negarsi nessun traguardo, per ambizioso che possa essere. L'atto conclusivo avrà comunque, domenica a Kiev, una favorita: quella da tutti indicata alla vigilia, quella che giocherà per centrare due traguardi inediti. Nel mirino, il «triplete» Europa-Mondo-Europa, e due corone consecutive del vecchio Continente, la Spagna passerebbe dalla storia alla leggenda. Un'era da favola, dopo essersi lasciata alle spalle decenni di buio, perfino la qualificazione mancata nel Mondiale giocato in casa, quello che avrebbe decretato la terza data gloriosa per gli Azzurri. Però, rispetto alle attese, qualche dubbio in più si manifesta: ancora i più bravi, ma perde terreno lo strapotere che era stato largamente ipotizzato. Nella colonna dell'attivo, le «furias rojas» possono iscrivere la solidità difensiva, un solo gol concesso in cinque partite, quando Di Natale aveva regalato all'Italia un vantaggio effimero. Segni incerti dal potenziale offensivo, avari frutti in relazione alla gestione del gioco, con l'eccezione della goleada agli irlandesi, tanto amabili quanto scarsi. Deprimente, la semifinale iberica, per la folla di Donetsk e per milioni di telespettatori. Spettacolo mancato, occasioni da gol quasi nulle, alla fine l'immagine dominante era il volto deluso di Cristiano Ronaldo, che alla tombola dei rigori non aveva neanche una cartella da riempire. Critiche per Bento in casa portoghese, ma a cose fatte ha ragione soltanto chi non ha avuto modo di sbagliare, a CR7 doveva toccare l'esecuzione decisiva, gliel'hanno negata gli errori di Moutinho e Bruno Alves. Vittoria non usurpata, però la vera Spagna si è vista soltanto nei supplementari: poco, in relazione ai crediti maturati negli anni recenti. Poco ispirato Del Bosque nell'inserire il sivigliano Negredo nel delicato ingranaggio nato dalla momentanea fratellanza tra Castiglia e Catalogna. Qualche accenno di flessione, ma potrebbe giustificarlo una troppo radicata abitudine a vincere.

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