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La Camera dà fiducia a Monti sulla riforma del lavoro

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L'obiettivodichiarato di Monti è infatti quello di arrivare a Bruxelles, il 28 giugno, fianco a fianco con i partner europei, con in mano la riforma ormai approvata. Un punto in più per l'Italia, nell'ennesimo momento di instabilità estrema sui mercati di tutta Europa, e una necessità di fronte alla quale partiti e parti sociali, ad eccezione della Cgil, si sono imposti di digerire anche i punti giudicati più ostici del disegno di legge. L'aula della Camera, ringraziata ufficialmente dal ministro del Welfare Elsa Fornero per aver «sacrificato la discussione in Commissione», ha così bocciato le pregiudiziali di costituzionalità di Idv e Lega, presentate nonostante le richieste di evitare ostruzionismo, e ha permesso al governo di porre la fiducia su tutti e quattro gli articoli del testo uscito dal Senato. Per «senso di responsabilità» verso l'Italia e verso l'Europa il Pd ha assicurato il sostegno al governo. Ed anche dal Pdl arrivano apprezzamenti al lavoro fatto, ha evidenziato lo stesso ministro, che non ha però evitato di dare una stoccata al mondo politico: «Potrei farvi vedere dei messaggi che ricevo. Sono cose - ha detto ai giornalisti riuniti in Transatlantico - che un ministro tecnico non capisce ed appartengono al mondo della politica». Dopo il sostanziale via libera (anche questo per necessità) arrivato dalla Confindustria, la vera opposizione, portata avanti fino in fondo, resta dunque solo quella della Cgil. La riforma «non risolve il problema della precarietà e non dà un contributo al problema degli ammortizzatori sociali. È una pura bandierina ideologica», ha attaccato anche ieri Susanna Camusso, non intenzionata ad arretrare neanche di un millimetro dalle sue posizioni. Parole che non sono cadute nel vuoto e che hanno registrato l'immediata reazione della Fornero: «La Camusso faccia come crede. Questa - ha detto il ministro - è una democrazia. Io sarò contenta se riuscirò a dimostrare che qualcosa di buono questa riforma la fa in un tempo non troppo lungo. Poi – ha replicato – chiamare "bandierina ideologica" un poco di contrasto alla precarietà è un linguaggio che non capisco». Anche l'articolo 18 non è mai stato interpretato «in chiave ideologica, - ha precisato - non appartiene alla cultura di questo ministro e di questo governo» Decisamente più morbida invece la posizione di Raffaele Bonanni, che pur mantenendo i suoi dubbi sul testo, riconosce l'impellenza della riforma: «prima si fa e meglio è. Anche i sindacalisti - ha puntualizzato con evidente riferimento ai colleghi della Cgil - devono capire che se questa storia si riapre volge al peggio».

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