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Per Berlino il nostro Paese è una «torta» succulenta

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Toglieteil Colosseo, la Costiera amalfitana, le colline toscane, le spiagge della Versilia, della Liguria e della Romagna ed ecco il risultato. Per la Germania l'Italia è soprattutto un mercato per esportare e fare investimenti. Non certo il principale (in testa alla classifica dell'export tedesco nel 2011 resta saldamente la Francia), ma comunque il sesto Paese in cui in prodotti made in Germany trovano acquirenti. Il dato è contenuto nel rapporto realizzato dai ministeri Affari Esteri e Sviluppo Economico, ed è tutt'altro che irrilevante. Lo scorso anno, infatti, le esportazioni hanno rappresentato il 50,1% del Pil tedesco. Tradotto in miliardi di euro e considerando il solo settore merci significa 1.060,2 (+13,2% rispetto al 2011). Il 59,1% è andato verso Paesi dell'Unione europea a 27, di questi il 39,7% è stato «assorbito» da Stati dell'area euro. Il che vuol dire che, nonostante tutto, l'eurozona rappresenta un mercato importante per Berlino. E sarebbe bene non perderlo. Ma torniamo all'Italia. La prima cosa da sottolineare è che, a fronte di un aumento delle importazioni dalla Germania pari al 5,8%, le esportazioni italiane sono aumentate del 12,5% superando anche l'ottimo risultato pre-crisi del 2008 (in totale 49,3 miliardi di euro). E anche questo, in qualche modo, depone a nostro favore. Segno che non siamo solo un mercato da aggredire, ma anche uno in cui acquistare. Soprattutto se si tratta di comprare prodotti alimentari (3 miliardi di euro di esportazioni verso la Germania, +8% rispetto al 2010); prodotti chimici (4 miliardi, +10,9%); prodotti della metallurgia (5,2 miliardi, +26,6%); autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (5,1 miliardi, +15,3%). E noi? Quali sono le merci made in Germany che hanno più successo? Sicuramente quelle che rientrano nel settore autoveicoli che, nonostante abbia fatto registrare una flessione dell'1,2% tra il 2011 e il 2010, resta quello più redditizio (almeno per Bmw, Volkswagen e Mercedes solo per citare alcuni marchi) con poco più di 9 miliardi di euro. Poi, spiccano i prodotti chimici e fertilizzanti con 5,3 miliardi; quelli dell'industria lettiero-casearia (1,5); della siderurgia (1,5); strumenti e apparecchi di misurazione, prova e navigazione, orologi (1,3); medicinali e preparati farmaceutici (2). Ci sono poi le apparecchiature elettriche e non elettriche per uso domestico (3), le bevande (1) e, udite, udite, i rifiuti. Nel 2011, l'Italia ha importato dalla Germania, ben 1,1 miliardi di rifiuti con un incremento del 48% rispetto all'anno precedente. Il tutto a fronte di un'esportazione di 245 milioni. Accanto a tutto questo spicca l'elenco degli investimenti che aziende tedesche hanno effettuato in Italia negli ultimi anni. Secondo una rilevazione della Bundesbank, nel 2010, il nostro Paese si è confermato all'ottavo posto nella classifica dei destinatari di investimenti. Sempre secondo lo stesso studio, al 31 dicembre 2010, c'erano 1.249 imprese italiane partecipate da società tedesche per un totale di circa 180.000 dipendenti e un giro d'affari annuo pari a 95,6 miliardi di euro. I settori di interesse vanno da quello assicurativo e finanziario (da segnalare le attività di Allianz e Deutsche Bank), alla logistica (su tutte Metro), passando per il metalmeccanico ed elettromeccanico (Thyssenkrupp, Siemens, Bosch), farmaceutico (Bayer, Henkel, Basf) e utilities (il gruppo E.On., oltre ad aver acquisito Dalmine Energie e le attività italiane della spagnola Endesa, ha un ruolo di rilievo nella distribuzione dell'acqua potabile nel Nord Italia). Di sicuro interesse, infine, il settore dell'automotive. Audi, controllata dal gruppo Volkswagen, ha una partecipazione di controllo in Lamborghini ed ha appena acquisito Ducati. Volkswagen ha acquisito Italdesign-Giugiaro mentre Porsche ha comprato la più veloce pista di collaudo al mondo: la «Nardò Technical Center» in Puglia. Insomma la Bild ci accusa di volere i soldi tedeschi, ma a Berlino quelli italiani non fanno affatto schifo.

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