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Angelino Alfano presenta il semipresidenzialismo formato Pdl, lancia la sfida delle riforme al Pd e cerca di tenere a bada un partito-polveriera garantendo al governo Monti il sostegno fino al 201

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Anchese la sua professione di ottimismo sull'esecutivo non sembra aver convinto troppo i suoi. Le discussioni continuano, il tema liste civiche resta caldissimo e alla fine della giornata scende in campo addirittura il presidente del Senato Schifani, che chiede al partito maggiore chiarezza di fronte a un «elettorato confuso». Alfano arriva in Senato poco dopo le 11.30. È il momento di scoprire le carte, di presentare nei dettagli la riforma annunciata due settimane fa. Il Pdl ha preparato cinque emendamenti al testo licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali: quello, per intenderci, che taglia di un quinto il numero dei parlamentari e introduce la «sfiducia costruttiva». Con le modifiche del Pdl, invece, cambierebbero 13 articoli della Costituzione: punto ardine l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Voterebbero tutti i cittadini maggiorenni, potrebbero candidarsi coloro che abbiano superato 40 anni e - con una nuova norma sul conflitto di interessi - non abbiano altre cariche o attività pubbliche o private. Il mandato durerebbe 5 anni (invece dei 7 attuali) e si potrebbe essere rieletti solo una volta. Obbligatoria la maggioranza assoluta dei voti validi, oppure si procede al ballottaggio. Tra i compiti del Capo dello Stato la nomina del Premier e, su proposta di quest'ultimo, quella dei singoli ministri. Inoltre il Presidente della Repubblica presiederebbe le riunioni del governo e potrebbe sciogliere le Camere. «È la riforma delle riforme», ha detto Alfano, «e i tempi tecnici per approvarla ci sono tutti». Il segretario presenta una «road map» che prevede entro fine giugno la prima approvazione del Senato. Poi avanti a ritmi serrati per arrivare entro fine novembre alla seconda lettura conforme del Senato. Senza la maggioranza dei due terzi, però, scatterebbe il referendum confermativo. «Perchéla nostra proposta è arrivata solo adesso? Perchéora ci sono le condizioni migliori», ha insistito Alfano. «Al Pd diciamo ora o mai più. Non abbiamo fatto tutto questo solo per ottenere un no, in aula si vedrà chi sono i veri riformatori». «In caso di approvazione del semipresidenzialismo - continua Alfano - saremmo pronti ad appoggiare il doppio turno elettorale agognato dai democratici. Ma se le nostra proposta venisse bocciata noi non boicotteremmo il cammino delle altre riforme già incardinate al Senato». «Ovviamente - conclude - una proposta del genere presuppone la durata del governo fino al 2013. Il primo sì del Senato deve arrivare entro giugno, altrimenti rischiano di saltare tutte le riforme». Oggi il primo verdetto dell'aula. A livello puramente teorico, il Pdl non avrebbe bisogno neanche dell'appoggio di Bersani, visto che a Palazzo Madama basterebbe la maggioranza composta dal partito di Berlusconi e dalla Lega. Si vedrà. La proposta ha avuto il merito di compattare almeno su un tema l'intero Pdl. Ma sulla durata del governo Monti resta un grosso interrogativo. Ieri ancora Cicchitto ha ribadito la necessità di una verifica sull'appoggio all'esecutivo quando il professore, a fine mese, avrà concluso un importante ciclo di incontri europei. Segno che le elezioni anticipate restano più di un'opzione. L'ex democristiano Rotondi reclama un partito «che non insegua l'antipolitica, altrimenti potremmo decidere di saltare un giro», mentre Sacconi si schiera contro l'ipotesi di affiancare delle liste civiche al Pdl: «Sarebbe inutile - spiega - meglio piuttosto tentare di rimettere in piedi l'alleanza con Maroni e Casini». Non la pensa così Giorgio Stracquadanio che, nel pomeriggio, presenta la nuova associazione «L'altra Italia», alla quale aderiscono nove deputati attualmente o in passato nel Pdl, tra cui Isabella Bertolini e Gaetano Pecorella. E così il tema delle civiche resta ad altissimo tasso di elettricità. Sono in molti a temere che anche Berlusconi abbia in mente un colpo a effetto in tal senso. «La Linea Maginot del Pdl è fatta di mitragliatrici impazzite che sparano baggianate in ogni direzione», è l'accusa al veleno comparsa sul sito dei «formattatori». A quel punto scende in campo persino Schifani, che prende carta e penna e scrive una lettera pubblicata sull'edizione on line de Il Foglio: «Chiedo a Berlusconi e all'intera classe dirigente del Pdl un'operazione verità» perché «il nostro elettorato è visibilmente frastornato» e «non capisce più che cosa vogliamo, perché non vede più nel Pdl né la coerenza né l'affidabilità». Itoni sono duri: «Si può restare insensibili di fronte al lento sfilacciamento di un partito che è stato, e resta, l'architrave dell'Italia moderata e liberale? Io non me la sento di girare lo sguardo dall'altro lato».

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