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di Francesco Damato Altro che «provocazione», come l'ha voluta definire da destra con frettolosa acrimonia e imprudenza politica il suo ex amico e collega di partito Francesco Storace.

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Checominciò quattro anni fa, con la vittoria sul candidato del centrosinistra Francesco Rutelli, quando passò praticamente da solo, con l'allora nascituro Pdl, sottraendosi al negoziato dell'apparentamento con l'Udc e con Storace, che evidentemente non gliel'ha ancora perdonata, dal 40,7 del primo turno al 53,6 per cento dei voti. Il rivale ci rimase malissimo, convinto com'era di tornare sul colle capitolino per diritto, diciamo così, ereditario. Rutelli aveva infatti concordato una singolare staffetta con Walter Veltroni, che era stato il suo successore nel 2001 ed aveva interrotto il secondo mandato nel 2008 avendo preferito prima l'assunzione della segreteria del partito, nato con l'unificazione fra i suoi Ds-ex Pci e la Margherita-ex sinistra democristiana proprio dell'ex radicale Rutelli, e poi una sfortunata candidatura a Palazzo Chigi. I romani giustamente non gradirono una così sfacciata visione del Campidoglio come riserva di caccia della sinistra e premiarono la sfida di Alemanno. Che solo due anni prima, nelle elezioni comunali del 2006, dopo un'intera legislatura trascorsa alla guida del Ministero dell'Agricoltura con il secondo e terzo governo di Silvio Berlusconi, aveva raccolto il 37,1 per cento dei voti nello scontro con il sindaco uscente Veltroni. I quattro anni trascorsi alla guida della Capitale, di cui Alemanno ha ieri esposto un dettagliato bilancio cogliendo l'occasione appunto per annunciare la propria ricandidatura nel 2013, non sono stati facili. Ne sono capitate al sindaco un po' di tutti i colori: amministrativi, politici e persino meteorologici, con quella nevicata dello scorso inverno di cui poco è mancato che gli avversari politici, e non solo i comici, gli attribuissero la responsabilità. Alemanno ha dovuto fare i conti, fra l'altro, con la scissione del suo partito, per la rottura tra Berlusconi e Fini, e con gli effetti devastanti della crisi economica. A fronteggiare la quale i Comuni, si sa, sono stati chiamati a fare la loro parte. E Roma non si è certo sottratta, riducendo del 25,3 per cento, da 12,2 a 9,1 miliardi di euro, il debito lasciato dalla precedente amministrazione. Che non più tardi dell'altra sera, in una delle tante arene televisive, l'eurodeputato leghista Matteo Salvini, particolarmente a corto di argomenti in questo periodo per i guai in cui si trova il suo partito, ha tentato di rinfacciare tutto ad Alemanno. La ricandidatura del sindaco uscente è tanto più apprezzabile in un momento in cui i partiti e i leader indulgono, a livello nazionale, a rinviare le scelte più impegnative, in attesa di misurare la temperatura politica con i risultati delle elezioni amministrative del 6 e del 20 maggio. È infine apprezzabile che Alemanno abbia confermato la volontà di sottoporsi anche al passaggio preventivo delle primarie. Giù il cappello.

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