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Raccontato oggi suona curioso, quasi stran

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Mac'è stato un tempo in cui Silvio Berlusconi e Romano Prodi si sono trovati insieme all'opposizione. Anno 1999. Il governo è quello del "ribaltone" guidato dal primo presidente del Consiglio ex comunista della storia italiana: Massimo D'Alema. Il Cavaliere e il Professore, quindi, sono due semplici deputati. Il primo iscritto al gruppo di Forza Italia, il secondo a I Democratici - L'Ulivo (da non confondersi con i Democratici di Sinistra - L'Ulivo o con i Popolari Democratici - L'Ulivo). Tutto si svolge tra marzo e maggio, prima dell'estate e delle elezioni Europee del 13 giugno. E la data ha un suo significato visto che a settembre Prodi cesserà il proprio mandato per diventare presidente della Commissione europea. Insomma quella battaglia fianco a fianco è quasi un "dono" d'addio. Che però non evita il "regalo", quello vero, che i partiti si fanno a sei anni di distanza dal referendum che, a furor di popolo, aveva abolito il finanziamento pubblico ai partiti. Ovviamente non si parla di "finanziamento", ma di «Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici». Via, quindi, il 4 per mille introdotto nel 1997. Avanti con un "ritocchino" per i rimborsi. La nuova legge prevede quattro fondi legati ad altrettante elezioni: Camera, Senato, Parlamento europeo e consigli regionali. L'entità di ciascun fondo viene determinata moltiplicando «l'importo di lire 4.000 per il numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera». Il moltiplicatore scente a 3.400 lire per le Europee di giugno. Per farla breve, nella precedente legge del 1993, la quota da moltiplicare per il «numero degli abitanti della Repubblica quale risulta dell'ultimo censimento generale», era di 1.600 lire. Le somme spettanti ai singoli partiti verranno corrisposte attraverso una prima rata del 40% e, poi, attraverso quattro successivi versamenti corrispondenti al 15% del totale. Unica soluzione per le Europee e le Regionali degli anni 1999 e 2000. Non solo, ma cambiano anche i tetti di spesa per la campagna elettorale: non più 200 lire moltiplicate per «il numero complessivo degli abitanti nelle circoscrizioni per la Camera e dei collegi per il Senato», ma 800 lire. Mentre passa da 100 a 200 milioni il tetto massimo per le erogazioni liberali che possono godere di detrazione (il minimo scende da 500mila a 100mila lire). Dulcis in fundo, possono partecipare alla ripartizione dei fondi tutti i partiti che hanno conseguito almeno l'1% di voti validi a livello nazionale (prima era il 3%). I calcoli, forse non proprio perfetti, li fa Giacomo Garra, deputato di Forza Italia, motivando in Aula il dissenso del proprio gruppo. È il 26 maggio 1999. «In totale - spiega - le spese elettorali rimborsate per le elezioni politiche del 1996 si aggiravano sui 36 miliardi; in base alla legge n. 2 del 1997, i partiti hanno potuto fruire di anticipazioni per 210 miliardi e la proposta di legge al nostro esame porterà l'ammontare dei contributi o rimborsi fruiti dai partiti ad oltre 260 miliardi». Ma ormai è tardi, anche per denunciare «la polizza assicurativa ai neopartiti di Mastella, Cossiga e Cossutta, per il caso in cui il loro risultato elettorale si aggirasse attorno all'1%». Il testo, infatti, come riepiloga il relatore Sergio Sabbatini (Ds), ha cominciato il suo iter alla Camera «il 14 gennaio e si è concluso l'11 marzo; al Senato l'iter è cominciato il 22 aprile e si è concluso il 20 maggio». Insomma, quella del 26 maggio è poco più di una ratifica. Che non impedisce comunque a Forza Italia, An, I Democratici - L'Ulivo e al Verde Alfonso Pecoraro Scanio di votare contro. Finirà con 279 sì e 130 no su 409 presenti. Ben più interessante quello che era accaduto l'11 marzo quando alla Camera aveva preso la parola Prodi: «Non condividiamo né lo spirito né le soluzioni tecniche adottate (...) Crediamo, infatti, che in una democrazia di cittadini il finanziamento della politica e dei partiti debba essere tutto e solo nelle mani dei cittadini stessi». Nettamente contro il provvedimento, quel giorno, anche Gianfranco Fini e Elio Vito. I loro partiti non cambiarono posizione nemmeno due mesi dopo (An a maggio annuncerà addirittura un referendum abrogativo). Ma quell'11 marzo, sul tabulato delle votazioni elettroniche, a fianco dei nomi di Prodi e Berlusconi (entrambi assenti nella seduta di maggio) compare una «C». Simbolo indelebile di voto contrario. E forse non avevano tutti i torti. (3-continua)

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