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"Tesoriere? Ormai è una parolaccia"

Il tesoriere del Pd Misiani

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«Ormai non si può più dire che fai il tesoriere, è diventata una parolaccia». Antonio Misiani si concede una battuta commentando ciò che sta accadendo ai suoi "colleghi". Lui, deputato bergamasco del Pd, da tre anni ha il compito di vigilare sulle casse del partito. Vita difficile quella del tesoriere. «Mi chiedono in continuazione soldi - racconta - è una costante. Ricevo in media una decina di telefonate al giorno». E dice più volte sì o no? «Dico parecchi no, ma le assicuro che i sì non mancano. Anche perché il compito del tesoriere è proprio quello di allocare le risorse per favorire l'attività politica del partito a livello nazionale e sul territorio». Come la considerano i suoi colleghi, buono o cattivo? «Sono immeritatamente considerato cattivo». Immeritatamente? «Sì, perché il rigore tetragono di chi amministra le risorse dovrebbe essere considerato un merito». Ha mai ricevuto pressioni per organizzare iniziative che non condivideva? «Non è il mio compito decidere quale iniziativa va bene e quale no. Diciamo che mi dà fastidio buttare via i soldi. È lì che qualche volta nascono i problemi con i dirigenti». Che idea si è fatto delle vicende che stanno coinvolgendo i suoi "colleghi"? «Toccherà alla magistratura accertare se ci sono stati degli illeciti e quindi lasciamo che svolga serenamente il proprio lavoro. Di certo il sistema è molto debole e non sempre il controllore è messo nelle condizioni di controllare. Per questo abbiamo già depositato una nostra proposta di legge sui partiti che dia finalmente attuazione all'articolo 49 della Costituzione. È un tema urgentissimo e, secondo noi, ha la stesso livello di priorità della legge elettorale. Perché se non fermiamo questa spirale la politica continuerà a perdere credibilità». Ma i tesorieri non dovrebbero essere "al servizio" del partito? Come fanno a fare tutto questo senza che i dirigenti sappiano? «È un'eredità del vecchio modo di organizzare i partiti quando i tesorieri avevano un potere illimitato e godevano di un rapporto fiduciario privilegiato. Purtroppo i partiti sono organizzazioni non riconosciute e non funzionano come le imprese che hanno, al loro interno, strumenti di controllo. Ovviamente ci sono eccezioni». Si sta lodando? «Diciamo che il Pd ha fatto degli sforzi aggiuntivi rispetto a ciò che prevede la legge. Il nostro bilancio è da anni certificato da una società di revisione esterna. E abbiamo esteso questo meccanismo anche alle organizzazioni territoriali alle quali abbiamo trasferito 12 milioni di euro di rimborsi. Le distrazioni di fondi sono praticamente impossibili». Ma non le sembra che attorno alla politica girino troppi soldi? «A dire il vero i rimborsi elettorali hanno subito negli ultimi anni un drastico taglio passando dai 289 milioni di euro del 2010 ai 189 del 2011. A regime, con i tagli già decisi, arriveremo a 143 milioni di euro. Siamo in linea se non sotto il livello europeo. L'anomalia non è questa, ma la trasparenza dei controlli. Si tratta di un'eredità di una fase in cui, a fronte di un finanziamento pubblico elevato, abbiamo visto il proliferare di partiti leaderistici e personali, privi di una vera vita democratica al loro interno. Una democrazia diffusa, infatti, favorisce il formarsi di "anticorpi" che aiutano a controllare meglio ciò che accade. Per questo bisogna cambiare le regole». E magari asciugare un po' la struttura dei partiti. «Guardi che i veri costi riguardano le campagne elettorali più che gli apparati. Il Pd oggi ha un apparato paragonabile a quello della federazione di Modena del Pci». Si faccia qualche amico, prevede tagli per i prossimi mesi? «Assolutamente sì. Nel giro di 2-3 anni i rimborsi elettorali scenderanno del 25% è evidente che occorre ripensare l'organizzazione». Quindi quella del 2013 sarà una campagna elettorale più "povera"? «Ci saranno meno soldi a disposizione. Sarà sicuramente diversa».

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