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Più tassati e disoccupati così vince solo Berlino

La cancelliera tedesca Angela Merkel

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Sempre più disoccupati, sempre più tassati. Benvenuti nell'Italia che magari ha evitato il destino della Grecia, ma non quello del declino e della recessione, oltre che il giusto rigore, imposti da Frau Merkel. Destino al quale il governo dei tecnici ed il Parlamento dei politici sembrano in grado di opporre ben poco. L'Istat ha pubblicato i dati di febbraio sulla disoccupazione: siamo al 9,3 per cento. Per i giovani, il 31,9. Nel quarto trimestre 2011 la disoccupazione nazionale sale al 9,6: un anno fa eravamo all'8,1. Quella giovanile al 32,6, con punte del 50 per cento nel Mezzogiorno. Due milioni e mezzo di persone senza lavoro; e con scarse possibilità di trovarne uno in questo 2012 che, per ammissione del ministro dello Sviluppo (l'ironia è involontaria) Corrado Passera, sarà tutto in recessione. Salvo miracoli a fine anno avremo il 10 per cento di disoccupati, e ci avvieremo verso il 40 per i giovani: percentuali che ci avvicinano alla Spagna. Al tempo stesso si fa sempre più drammatica la questione fiscale. A dichiarazioni dei redditi da fame si contrappone una stangata – dalle addizionali locali alla casa, dal carburante alle bollette – che (come ha certificato la Banca d'Italia) sta erodendo il potere d'acquisto ed i risparmi delle famiglie. Gli immobili ed i piccoli patrimoni, i due tradizionali paracadute dell'Italia, sono colpiti sia direttamente sia indirettamente. Direttamente attraverso la super-Imu e le tasse sui depositi; indirettamente perché le famiglie attingono al gruzzolo domestico per far quadrare i conti e mantenere un figlio precario o a spasso. A tutto ciò si aggiunge il caos prodotto dalle norme governative, specie sull'Imu, che ha indotto i Caf a chiedere il rinvio. Al disagio sociale si somma quindi l'incertezza: sappiamo soltanto che pagheremo di più, e parecchio, ma non quanto, come e quando. E non è neppure tutto: ad autunno dovrebbe scattare il nuovo aumento Iva, ma anche qui non ci viene detto se di un punto, due punti, e su quali aliquote. Avanti di questo passo e quel disagio si trasformerà in qualcosa di più profondo, di più duro, e temiamo anche di violento. Un Paese può permettersi il rigore, ma non l'incertezza totale sul proprio avvenire. Ed è incomprensibile che il governo, dopo avere con un tratto di penna portato al 45 per cento la pressione fiscale, con effetti recessivi ampiamente previsti, stia ancora a cincischiare con le norme molto ottimisticamente definite Cresci-Italia. Noi, che abbiamo fin dall'inizio considerato questo esecutivo come l'ultima spiaggia anche di fronte all'ignavia della politica, non riusciamo a capacitarci di come le "meglio intelligenze" del Paese insistano a sottostimare la situazione. Esemplare è l'«agenda Passera»: non manca niente, dal rilancio delle infrastrutture al piano casa, alla mitica abolizione della burocrazia per l'imprenditoria giovanile. Dalla revisione dei bonus a pioggia alle imprese e alle energie verdi (pagati dalle bollette di tutti noi) alla riduzione del digital divide. Domanda: scusi ministro, quando cominciamo? Domani? Dopodomani? E perché finora ci siamo occupati di taxi e panettieri? I tavoli di crisi per aziende a rischio sono ben 200, ai quali se ne aggiungono altri 100 per ristrutturazioni. Soldi in cassa, neppure un euro. La crescita, è vero, non si fa per decreto. Le tasse invece sì. Ma in questo modo si conferma che oltre all'Italia stiamo soprattutto salvando l'Europa. Anzi: la Germania. Alcuni dati: la disoccupazione tedesca è scesa al 6,7 per cento: se noi siamo ai massimi dal Duemila, loro sono ai minimi dalla dal 1990. Aumentano gli stipendi pubblici e privati: il governo ha appena concesso a due milioni di dipendenti federali e municipali un aumento del 6,3 per cento da qui a fine 2013. Nel settore privato si è subito mossa la Ig Metall, il sindacato dei metalmeccanici, che ha chiesto gli stessi benefici. Hanno buone probabilità: la Volkswagen ha erogato ai dipendenti un bonus medio di 7.500 euro. Questo quadro, assieme a una crescita economica del 3 per cento nel 2011, fa prevedere una notevole ripresa dei consumi. Nonostante la flessione stimata quest'anno, la Germania se la passa quindi molto bene. Merito della saggezza dei suoi governanti, ed alla lungimiranza delle forze politiche e sindacali; ma anche di una straordinaria serie di fattori che hanno tutti contribuito a portare acqua al mulino di Angela Merkel, delle aziende tedesche, delle banche renane. Ne elenchiamo qualcuno: l'enfasi sul rischio-debito degli altri ha scatenato un'ondata di acquisti sui Bund consentendo di finanziare il pur cospicuo debito tedesco a tassi prossimi allo zero; secondo, la svalutazione dell'euro, anch'essa legata all'allarme debito, ha dato una spinta formidabile all'export, che ha raggiunto i mille miliardi di attivo; terzo, i due dati combinati hanno prodotto un boom di entrate fiscali, che pur con una pressione inferiore all'Italia fa promettere alla Merkel un calo di imposte (nel 2013 ci sono le elezioni); quarto, l'indice di fiducia delle aziende è aumentato a marzo a 109,8 punti, un dato superiore alle attese; quinto, gli investimenti: soprattutto nella spesa pubblica, che li ha aumentati di 42 miliardi mentre in Italia si riducevano di 400 milioni; sesto, agli investimenti interni si aggiungono quelli stranieri: nel solo terzo trimestre 2011 mentre se ne andavano 48 miliardi dall'Italia, 20,2 dalla Francia, 16,5 dalla Spagna, ne arrivavano in Germania per 18,3 miliardi che si aggiungevano ai 119,3 da inizio annoi. Infine il boom del mattone, con i prezzi cresciuti del 10 per cento tra fine 2011 e inizio 2012. Alla Germania sta insomma riuscendo tutto ciò che va di traverso all'Italia. E non solo a noi, visto che perfino Olanda e Austria sono entrati in area rischio. Domanda: ma è davvero questa l'Europa che vogliamo? O è quella che svuota le nostre tasche di contribuenti e costa lavoro ai nostri giovani? E soprattutto: qualcuno ha intenzione di chiederci che cosa ne pensiamo?

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