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Si incontrassero su un campo di battaglia lo scontro durerebbe pochi secondi.

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Talela sproporzione dei numeri: in dieci contro 3 milioni. Diverso il discorso se la "battaglia" si combattesse a colpi di euro. Secondo uno studio della Banca d'Italia, infatti, sommando la ricchezza di coloro che formano la top ten dei "paperoni" del nostro Paese, si raggiunge la stessa cifra che si raggiungerebbe sommando quella di 3 milioni di poveri. Esattamente 50 miliardi di euro. Un dato che sicuramente impressiona, ma che va letto nel complesso dell'analisi che Giovanni D'Alessio fa nel suo Occasional Papers (numero 115 - Febbraio 2012). Un'analisi che, come recita il titolo, si concentra su «Ricchezza e disuguaglianza in Italia». Ebbene alla fine ciò che emerge, per dirla con le parole di D'Alessio, è che «l'Italia è un paese relativamente ricco, con un livello di disuguaglianza comparabile a quello di altri paesi europei». Certo, dietro questa fotografia generale si nasconde un mondo che nel tempo è profondamente cambiato. Ma partiamo dall'inizio. Nel 2010, ultimo anno preso in considerazione dallo studio, la ricchezza netta complessiva delle famiglie italiane era pari a 8.638 miliardi di euro (in calo rispetto agli 8.767 del 2009 e agli 8.925, punto massimo, del 2007). Nel 1965, misurata con i prezzi del 2010, era di 1.137 miliardi. La crescita media annua, in questi 45 anni, è stata del 4,6 per cento. Media che si mantiene pressoché uguale (4,3%) se si prende come riferimento la ricchezza netta pro capite: 21.875 euro nel 1965, 142.481 nel 2010. Ora, nonostante il trend positivo, non sono mancate riduzioni di questo valore. Tra la fine del 2007, quando la ricchezza netta pro capite ha toccato il suo massimo, al 2010 la flessione è stata di quasi 5 punti percentuali. Ora, prima di proseguire, è importante comprendere di cosa stiamo parlando quando si usa il termine "ricchezza". Scrive D'Alessio: «È il complesso dei beni materiali o immateriali che hanno un valore di mercato di cui una famiglia dispone. Include le attività reali (abitazioni, terreni ecc.) e le attività finanziarie (depositi, titoli, azioni ecc.) e, con il segno negativo, i debiti (mutui, prestiti personali ecc.)». Ecco quindi che nel confrontare i livelli di disuguaglianza di ricchezza del nostro Paese con quelli di altri Stati europei, la proprietà di una casa, fenomeno piuttosto diffuso in Italia, gioca sicuramente un ruolo importante. Tornando ai dati dello studio emerge che tra il 1995 e il 2010, circa il 56% dell'incremento della ricchezza è legato al risparmio delle famiglie, mentre il resto ai redditi da capitale. Se poi andiamo a vedere il rapporto tra ricchezza e Pil ecco emergere che negli ultimi 50 anni il Paese ha incrementato più la prima che la produzione. Il che conferma come oggi siano più importanti le «condizioni patrimoniali rispetto a quelle reddituali». «La ricchezza che ci proviene dal passato - scrive D'Alessio - è infatti oggi più rilevante di ieri in rapporto a quella che è possibile procurarsi giorno dopo giorno con l'attività lavorativa e di impresa». Non a caso sottolinea come «uno dei fattori principali che contribuisce a spiegare le origini della ricchezza a livello di individuo sono le eredità e i doni che questi ricevono dalla famiglia di origine». Da qui nascono molti dei cambiamenti registrati tra il 1987, anno in cui sono diventati disponibili dati micro, e il 2008. Partiamo dalle fasce d'età. Considerato 100 come valore medio, nel 1987 le famiglie di giovani under 34 avevano una ricchezza netta di 82,5. Nel 2010 sono scesi a 61,7. Percorso inverso per gli over 64: da 65,5 a 100,2. Contestualmente, se alla fine degli anni '80 le famiglie di operai toccavano quota 61,9 dopo due decenni erano scese a 44. Il tutto mentre quelle di pensionati passavano da 61,6 a 97,8. Sostanzialmente stabili i livelli di ricchezza di impiegati (99,2 nell'87, 95 nel 2010) e quadri (149,9 - 143,1). Significativa crescita per i dirigenti (201,5 - 254,9). In calo liberi professionisti (249,9 - 202,5) e imprenditori (183,3 - 153,4). A livello geografico, invece, a fronte di un Nord (108,6 - 109) e un Centro (113,3 - 124,2) che mantengono livelli elevati di ricchezza, si registra il peggioramente del Sud che perde 10 punti passando da 80,2 a 69,6. Ma D'Alessio mette in evidenza anche un altro elemento. L'Italia, spiega, è un paese in cui «l'attenzione verso i temi dell'uguaglianza» è superiore a quella per la «libertà». Insomma gli italiani vorrebbero più uniformità nella distribuzione della ricchezza che, proprio per l'assenza di un incremento significativo dei redditi, «sta assumendo un ruolo crescente tra le risorse economiche che definiscono la condizione di benessere di un individuo». Per questo, secondo D'Alessio, il governo ha fatto bene a invertire il trend che vedeva in costante diminuzione il carico fiscale sulla ricchezza. Parole che non possono che scatenare le forze politiche che da tempo battono su questo tasto. «Serve un ribaltamento dei valori che produca ricchezza vera e più equamente distribuita - attacca Antonio Borghesi (Idv) -. L'Italia deve tornare ad essere un paese per giovani e onesti».

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