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Napolitano: chiede l'accordo. Cgil: va allo sciopero generale

La leader della Cgil Susanna Camusso

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È scontro duro tra il governo e la Cgil mentre il presidente della Repubblica torna a fare appello al senso di responsabilità, a trovare «una convergenza». Ma questa convergenza per la Cgil è una strada non percorribile e soprattutto non ci sta a considerare chiusa la partita sulla riforma del lavoro, come ha detto in modo fermo il premier Monti. Così in una giornata di incontri informali, telefonate intrecciate, riunioni di segreterie, per preparare il vertice decisivo di oggi, mentre i tecnici sono stati impegnati a limare il testo, la Cgil ha annunciato un pacchetto di 16 ore di sciopero di cui 8 per uno sciopero generale con manifestazioni territoriali e 8 per assemblee. Napolitano ha insistito sulla necessità di «dare continuità alle politiche di investimento anche in caso di cambiamento della maggioranza di governo» e di abbattere il debito pubblico. E si è anche commosso dicendo che «quelle che per voi sono speranze, per me sono una grande responsabilità». Quanto all'articolo 18, la riforma «non si esaurisce a questo ma bisogna guardare al quadro di insieme». Parole che cadono nel vuoto. Il leader della Cgil Susanna Camusso è un fiume in piena quando accusa Monti di «scaricare il costo del risanamento sui lavoratori» e di fare in fretta solo per poter mostrare al road show dei mercati asiatici (il premier partirà nel week end per la Cina) «l'immagine che in Italia si può licenziare facilmente». Al premier Monti che considera chiusa la riforma sul lavoro, la sindacalista ribatte che «non lo è affatto» anche perché la riforma così come è stata concepita «non creerà un posto di lavoro in più». Quanto all'articolo 18 «non si tratta di semplice manutenzione», ma è «la scelta di cancellare lo strumento di deterrenza verso i licenziamenti». E c'è «il rischio concreto di un uso indiscriminato dei licenziamenti economici». Critiche a Cisl e Uil per «il gravissimo errore che hanno commesso abbandonando la costruzione di una ipotesi comune» sull'articolo 18 e la richiesta di «costruire una proposta di cambiamento alle scelte del governo». Poi l'appello al Parlamento affinché «intervenga a modificare le norme che non vanno». Ma Cisl e Uil prendono le distanze dalla linea della Cgil. «Solo nel disperato caso dovessimo vedere che le nostre proposte non vengano prese in considerazione allora valuteremo forme di protesta più incisive» afferma il segretario generale della Uil Angeletti che boccia la mobilitazione generale. «Fare sciopero contro il Parlamento» chiedendo nel contempo alle stesse Camere delle modifiche, con una «minaccia preventiva è un suicidio» avverte. Ma Angeletti anche se disponibile verso il governo ne critica il metodo scelto per il confronto, senza una vera concertazione con un accordo finale. «È una novità radicale e negativa, un mutamento profondo dei rapporti tra esecutivo e parti sociali». Poi lascia intendere che nel vertice finale di oggi non ci saranno modifiche sostanziali. «Per cambiare l'articolo 18 ci sarà il Parlamento. Non per mia scelta ma per decisione del presidente del Consiglio». La scelta della Cgil è critica anche dal leader della Cisl Bonanni. La concertazione implica «farsi coinvolgere fino in fondo, prendersi delle responsabilità, mi sembra che alcuni le responsabilità non se le prendono, né con il governo Monti, né con quelli Berlusconi e Prodi». Poi spiega che sull'articolo 18 «è stato trovato un compromesso, che può essere migliorato e se il Parlamento ci può dare una mano noi gliela chiediamo». In particolare, ha continuato, «puntiamo a migliorare la trasparenza della comunicazione alle Rsu di quel che l'azienda vuole fare in caso di licenziamenti economici». Quindi, ha detto Bonanni, «il giudizio definitivo lo daremo alla fine». Al vertice di oggi bisognerà chiarire anche se la modifica dell'articolo 18 riguarda pure gli statali. I sindacati sostengono che il pubblico impiego è fuori ma la Funzione pubblica dà una versione differente. Angeletti, Camusso e Bonanni su questo punto sono stati concordi: le nuove norme sui licenziamenti non si applicano ai dipendenti pubblici. La Funzione pubblica prima ha detto che invece gli statali sono coinvolti dalla riforma «poiché anche a loro si applica lo Statuto dei lavoratori». In serata con una nota è stata assunta una posizione più cauta. «Solo all'esito della definizione del testo si potranno prendere in considerazione gli effetti che essa potrebbe avere sul settore pubblico. Nel qual caso è possibile che si valuterà se ricorra l'esigenza di norme che tengano conto delle peculiarità del lavoro pubblico». Insomma la questione resta sospesa. Da decidere lo strumento legislativo. L'ipotesi di un decreto legislativo non è esclusa.

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