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Un tabù che danneggia i giovani

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Non sappiamo se Monti abbia effettivamente incontrato segretamente la Camusso. Non sappiamo quale accordo ci sia nell'aria. Non sappiamo se siano vere le disponibilità a concedere una deroga sull'articolo 18 per precari e nuove aziende. Quello che sappiamo è che appare paradossale come un Paese che non sembra offrire alcuna speranza per i più giovani sia fermo a una guerra di religione su una norma che, statistiche alla mano, non tutela che un terzo dei lavoratori. Questo articolo 18 non può essere un alibi per chi ha il dovere di creare occasioni di lavoro per le nuove generazioni, quelle che la crisi, e non da ora, la stanno pagando più duramente. Giovani che vedono la laurea, conquistata magari con il massimo dei voti, trattata con disprezzo, che nella ricerca di un lavoro vale un millesimo di una buona raccomandazione. Non può essere un alibi per organizzazioni che non rappresentano più il lavoro o chi lo cerca, ma solo una parte dei garantiti oppure pensionati che costituiscono la maggioranza degli iscritti al sindacato. Francamente speriamo che quell'incontro ci sia stato, e speriamo che lontano da tv e spot siano state messe in tavola le carte reali. Allora diciamo che gran parte dei giovani sotto i 30 anni o non hanno impiego oppure devono accontentarsi di lavoretti mal pagati e saltuari. Poi i ministri che i propri figli li hanno sistemati possono pure chiamarli mammoni. Ma se scendessero dal piedistallo si accorgerebbero che la realtà è ben diversa. Così i sindacati se si ostinano a difendere lo status quo, al massimo possono tutelare quel 30 per cento di garantiti, ma si chiudono in un fortino e certo poi non possono pretendere di essere il punto di riferimento per tutti. Perché un giovane dovrebbe vedere con simpatia e fiducia la Camusso (lei come qualunque altro esponente sindacale)? Diciamo che quello dell'articolo 18 rischia di diventare il falso problema. Si discute di tutele per chi è già tutelato e non ci si preoccupa del resto, che non è più una minoranza, ma la maggioranza. Così arriviamo all'assurdo che cialtroni dichiarati, ma dipendenti di medie e grandi aziende, possono avere il posto assicurato anche se la produttività è al minimo. E proprio questo esempio costituisce un freno. Un imprenditore prima di assumere si preoccupa, deve procedere con cautela perché rischia di dover mantenere a vita un dipendente inutile alla propria attività. E se i sindacati vogliono difendere questi non si preoccupano del tanti che invece ogni giorno possono perdere il posto senza garanzie, senza tutele. Oppure non lo trovano. Rimettere mano a questo ginepraio non è un atto di giustizia? Forse il problema andrebbe affrontato partendo dalla necessità di creare lavoro. Esaminando le possibilità concrete e gli ostacoli che impediscono di sviluppare al massimo le potenzialità esistenti. Ma più che norme, cavilli, leggi tutti dovrebbero prendere atto di un nuovo modo di lavorare, di produrre. Cercare di domare e controllare una situazione nuova con strumenti vecchi è velleitario. Inutile e alla fine dannoso. Pensiamo alle grandi fabbriche dell'Italia del dopoguerra. Erano il punto di arrivo per migliaia di disoccupati. Una volta dentro sapevano che sarebbero usciti solo per andare in pensione. Grandi imprese che fidelizzavano i dipendenti con case aziendali, circoli ricreativi e perfino centri anziani. Ma è una cartolina degli anni '60. Prima di tutto perchè il lavoro in futuro lo daranno piccole aziende dinamiche che hanno bisogno di muoversi in libertà. Nasceranno e moriranno, e ne nasceranno altre. Così chi ci lavora sa già che dovrà essere pronto a cambiare. Ad accettare nuovi lavori. Ma tutto questo può avvenire, sperando che alla fine il saldo sia positivo (più assunti che licenziati) solo se non ci saranno lacci o vincoli burocratici. Non saranno il pubblico impiego, oppure la Fiat, a garantire il posto. Ma una miriade di piccole e medie aziende. Che vanno aiutate e non ostacolate. Che devono dare una speranza ai giovani. Difendere lo status quo rischia solo di essere una battaglia di trincea. Si difendono i diritti di pochi, a spese si quelli legittimi di tanti.  

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