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Sorvegliati speciali

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Le parole di Celentano scatenano la bufera a viale Mazzini Mazza & Mazzi tempestati di proteste. E arriva il commissario Marano

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Dopol'invereconda sortita di Celentano, che aveva fatto sbattere il Festival contro l'iceberg del suo "Teopolitik", fra vendette private e autodafè inquisitori contro la stampa cattolica, a Viale Mazzini capivano che era tempo di riportare qualcuno a bordo. La notte era stata bollente per le orecchie di Mazza e Mazzi, con i telefonini fusi dalle telefonate da e verso Roma. All'ora di colazione il direttore generale Lei aveva riacceso il cellulare per scusarsi personalmente con Tarquinio e Don Sciortino, direttori di "Avvenire" e "Famiglia Cristiana", le testate che al Molleggiato, difensore della (sua) libertà d'espressione, piacerebbe veder chiuse per aver sollevato obiezioni sul suo contratto. Contestualmente, dalla Cei chiedevano una nuova, pubblica riparazione da parte della Rai: segno, ove mai ve ne fosse bisogno, che occorreva passare a operazioni più concrete. Il presidente Garimberti sollecitava la Lei e il direttore generale, di concerto con i consiglieri, disponeva la missione a Sanremo del vicedirettore Rai per l'offerta Antonio Marano, con "potere di intervento e coordinamento" su quel che resta dello zatterone festivaliero. La notizia del commissariamento arrivava come un siluro ai fianchi di Mazza & Mazzi, il primo visto come responsabile del mancato controllo Rai, il secondo reo di aver spinto per un contratto a Celentano senza la possibilità di concertarne i testi. L'invio di Marano mandava di traverso alle «Due Mazze» il previsto trionfo di ascolti, con dimensioni bulgare da 49 per cento e rotti, e una media di 14 milioni e mezzo di italiani inchiodati davanti al video dal deplorevole sermone di Padre Adriano. In una conferenza stampa bollente, i due parevano presagire il patibolo: e provavano a celiare sullo slogan «Marano ti dà una mano», rivendicavano la loro autonomia decisionale, spalleggiati in questo da Morandi, che si chiedeva perché mai la Rai fosse ricorsa a un comunicato ufficiale per varare la spedizione del plenipotenziario. Mazza (obiettivo principale del warning) metteva su la faccia dei momenti solenni: «Mi prendo la mia responsabilità, non mi autosospendo di fronte a Celentano come fece Del Noce, mi vengono i brividi quando sento qualcuno invocare la chiusura dei giornali». Il direttore artistico veronese disquisiva invece sulla possibilità che il «deficiente» con cui era stato apostrofato il critico del Corriere Aldo Grasso non fosse «un epiteto ingiurioso», ma era una mossa dialetticamente disperata. All'ora di pranzo, Mazzi non sapeva neppure dire se il profeta della via Gluck sarebbe intervenuto nella seconda serata, rinnovando l'impressione di una rassegna diventata ostaggio delle bizze di Adriano. E con Marano in volo non si capiva se si giocava a nascondino o davvero si navigava nella nebbia. Meglio non premere per una seconda sortita del falso Messia, in ogni caso: se ne riparlerà venerdì (forse in collegamento dalla stanza all'hotel Globo) o per la finale di sabato, quando i destini di molti saranno segnati. Celentano, di suo, incassava solo il plauso di Di Pietro sul referendum, il richiamo dello stesso Parisi al rispetto per la Consulta e l'entusiasmo del fan Jovanotti. Ma la giornata era corsa via convulsa. Garimberti aveva provveduto ben presto a «dissociare» l'azienda dalle farneticazioni di Celentano, ma il peggio arriverà nel cda di oggi. La consigliera leghista Bianchi Clerici punta direttamente al collo di Mazza, Van Straten parla di Rai «fuori controllo», Gorla definisce «una brutta pagina» l'accaduto, e perfino il vicepresidente della commissione di Vigilanza, il pieddino Merlo, ha criticato severamente il Teopolitik. La sensazione, anche ai piani altissimi, è che sia scattato il si salvi chi può. Quando il Papa in persona citava «l'abuso del potere dei media» (riferendosi sopratutto ai falsi scoop sull'attentato contro di lui) l'Ariston era ormai poggiato su un fondale.

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