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Nel governo scoppia la guerra delle scrivanie

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Essendo un governo tecnico e non politico, è scoppiata la guerra delle scrivanie, anziché quella delle poltrone. A dare il primo colpo di cannone è stato Enzo Moavero, neo-ministro per gli Affari europei. «Sono antifascista», avrebbe esclamato l'impavido, sessantasei anni dopo la fine del fascismo. E così il tavolo di lavoro che sarebbe appartenuto, all'epoca, al Cavalier Benito Mussolini, è stato subito spostato dalla stanza in cui ancora pericolosamente aleggiava: la stanza del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Un luogo, si evince, già di per sé sbagliato per una simile circostanza, visto che il Ripudiato per interposta scrivania, e per ordine del ministro, fu capo del governo, e mai sottosegretario di se stesso. Ma tant'è. L'antifascismo da scrivania è solo la prima delle grandi novità, nel senso letterale del termine. Perché mai, neppure nei governi ideologici con comunisti di nome e di programma, s'era arrivati allo sprezzo del ridicolo. Al contrario, per l'altra e non meno famosa scrivania, quella che Palmiro Togliatti - già Guardasigilli - lasciò al dicastero di Giustizia e una volta anche di Grazia, ci fu negli anni la corsa al moderno utilizzo. Corsa che si è improvvisamente riaperta, perché a differenza del tavolo del Duce, quello del Migliore era stato riscoperto e usato - ma pare successivamente e prudentemente nascosto - da Oliviero Diliberto. Oggi la frastornata Paola Severino, che succede sulla poltrona un tempo di Togliatti e molto tempo dopo di Diliberto, la sta cercando, la scrivania. «La cerco, ma non la trovo», ha annunciato al mondo. Come la Titina nella celebre canzone. Anche Giulio Tremonti, fino a ieri potentissimo ministro dell' Economia, s'era imbattuto nell'insidiosissimo problema della scrivania. Aveva chiesto notizie sul tavolo usato da Quintino Sella per sbrigare il proprio lavoro, e s'era seduto al cospetto di quella scrivania e della Storia. Non un solo leghista arrivò mai a chiedere l'allontanamento della medesima, sol perché appartenuta al ministro ed economista che era imbevuto di Risorgimento, all'indomani dell'unità politica della patria. La barba di Quintino Sella non spaventava proprio nessuno, neppure i teorici dell'inesistente Padania. In Sella alla scrivania. Se le motivazioni attribuite al neo-ministro e giurista Moavero fossero vere - ma sembra che l'interessato si sia appellato a motivi di spazio per i suoi collaboratori, dunque per questo voleva una scrivania meno «ingombrante»: e noi tifiamo per la precisazione -, saremmo curiosi di sapere come se la cava con altre e più impervie prove quotidiane. Essendo un ministro colto, non gli mancherà, per esempio, l' enciclopedia Treccani a casa. Enciclopedia voluta da Giovanni Gentile, il più grande filosofo del Novecento (la definizione non è mia, ma di Massimo Cacciari) e la cui voce «fascismo» fu compilata, com'è noto, da Mussolini in persona. Delle due l'una: o il ministro non consulta la Treccani o, quando lo fa, si appoggia ad una scrivania rigorosamente democratica. Ma poi, sarà uno sportivo, il nostro neo-ministro? Perché se sì, bisognerà sconsigliarlo subito dal mettere piede allo stadio Olimpico, dove troverebbe numerose scritte d'epoca mussoliniana (per non dire dell'obelisco con il nome dell'Innominabile alle porte: attenzione alla brutta sorpresa). Altro problemino, e non da poco. Dando per scontato che il nostro amerà l'Italia almeno quanto il presidente Giorgio Napolitano, che l' ama col cuore e con la testa, che farà Enzo Moavero il giorno della parata ai via dei Fori Imperiali? Via dei Fori Imperiali, non so se mi spiego: già il toponimo indica che stiamo camminando sulla strada sbagliata. Qualche anno fa l'ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti, che è un pacifista, ma anche un politico sveglio, trovò il seguente compromesso: andare sul palco presidenziale, certo. Assistere alla bellissima sfilata dei nostri ragazzi, d'accordo, arrivando quasi al punto di applaudirla. Ma con il simbolo dell'arcobaleno ben in vista sul bavero della giacca. Rivoluzionario non più da salotto, il Fausto, ma da piazza. Tutti finirono col parlare del piccolo simbolo della pace, e nessuno del grande fatto che il leader di Rifondazione comunista guardava con simpatia il passaggio della Folgore per strada e delle Frecce Tricolori sul cielo. L'ideologia era finita perfino per uno degli ultimi mohicani d'Italia. Perciò, siamo propensi a pensare, o a sperare, che la precisazione attribuita al neo Moavero («volevo solo guadagnare più spazio») sia più fondata del primo concetto sempre a lui attribuito e non da lui smentito, ossia che un antifascista non può firmare le carte sulla scrivania che settant'anni fa forse – forse - appartenne a Mussolini. Anche perché da un governo di alta tecnologia ci si attendono alte e altre motivazioni. Del tipo: non mi piace la scrivania perché è stretta. Oppure, non la voglio perché è troppo bassa. O perché ha un colore triste: a proposito, di che colore è la scrivania del Duce? Sarà nera anche quella? Fra Sella e Togliatti passando per Mussolini, tutte le strade portano ai ministeri e ai misteri di Roma. Ma se siamo qui a scrivere non di risanamento dei conti pubblici né di misure per la crescita, ma di scrivanie, la colpa, lettore, non è nostra. Proprio sul «Tempo» avevamo auspicato, e di recente, che il nuovo esecutivo parlasse poco, e ad atti e fatti compiuti. Eravamo stanchi dei bla-bla con cui politici competenti di poco, ma disposti a parlare di tutto, riempivano le serate televisive. «Un po' di sobrietà», chiedevamo. Ma certo non immaginavamo d'essere presi così alla lettera, e così presto. Due parole soltanto («sono antifascista») nell'esordio del titolare agli Affari europei. E, come d'incanto, la scrivania sparì. Speriamo che adesso la magia valga anche per altre quisquilie. «Basta coi vitalizi», oppure «abolite le province», o ancora «addio auto blu»: quante cose si possono comunicare con poche e belle parole. Un'ultima avvertenza per il bene della Repubblica. Ministro Moavero, se mai dovesse o volesse andare in udienza da Benedetto XVI, eviti via della Conciliazione. Per farla, fu sventrato il borgo antico, e può immaginare da chi. Si volle far posto con imponenza all'arteria che ha collegato la capitale al Vaticano. Chissà, poi, se anche il Papa avrà nel frattempo fatto spostare le scrivanie che hanno dato forma ai Patti Lateranensi, firmati si sa da chi. La fantasia al potere, tecnicamente parlando.

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