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È ora che gli italiani tornino a scommettere sul loro Paese

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«Compriamoci il debito pubblico» titolava Il Tempo martedì 29, commentando il successo del Btp Day. Una sfilza di dati concreti dimostra che non è tanto uno slogan patriottico (anche se oggi un po' di nazionalismo finanziario non farebbe affatto male), ma una via d'uscita economica e politica dalla crisi dell'Italia, e – last but not least – un ottimo affare. Anzi: ci domandiamo come mai il governo, nel quale non mancano banchieri e dintorni, non abbia ancora colto il segnale di lunedì scorso mettendosi all'opera per tradurlo in atti concreti. I numeri prima di tutto. Nel Btp Day sono stati scambiati 2,6 miliardi di titoli sul Mot, il mercato obbligazionario pubblico della Borsa italiana, ed 1,2 miliardi sull'altra piattaforma Tlx. Tre miliardi e 800 milioni che ovviamente non sono rimasti tutti nelle tasche degli acquirenti, ma, sempre secondo gli esperti di Borsa italiana, per due terzi possono essere considerati un riacquisto secco del nostro debito: i daily trader infatti non hanno bisogno del modesto risparmio dell'azzeramento delle commissioni, e ancora meno gli operatori professionali. Ma se anche ci fossimo ricomprati due miliardi di debito sarebbe un risultato straordinario e, ripetiamo, una lezione da mettere a frutto. La riprova è venuta il giorno dopo, quando il Tesoro ha messo all'asta 7,5 miliardi di Btp di nuova emissione con scadenze di tre, nove e dieci anni. Collocamento interamente coperto, ma a prezzi salatissimi per lo Stato. In particolar modo per il titolo triennale, con cedola nominale al 6%, di fatto salita ad un vertiginoso 7,89 a causa del prezzo scontato (cioè sotto i cento) preteso dal mercato. Molto più oneroso del decennale: e questo perché uno dei problemi attuali è che la curva dei rendimenti si è capovolta, con i titoli a breve che scontano tassi più elevati di quelli a medio-lungo. Il motivo? Una percezione di rischio concentrata sui prossimi mesi, che quindi prevale sul tradizionale effetto volatilità. E sulla quale si infila a mani basse la speculazione. Tanto questo è vero, che il 25 novembre il Tesoro aveva collocato il Bot a sei mesi ad un tasso del 6,5%. È evidente che il combinato disposto di tassi alti e scadenze brevi possono produrre un micidiale effetto-droga per i mercati e dissanguare le casse pubbliche: per quel Bot, quando scadrà a maggio 2012, potrebbe teoricamente essere richiesto un rendimento del 10%. Un tasso da usura. Una follia. Occorre dunque spezzare la catena: la Bce, con i suoi acquisti (che ieri si sono significativamente intensificati grazie anche all'intervento congiunto della Federal Reserve, della Bank of England e della Bank of Canada) non basta, frenata com'è dai tempi e modi bizantini degli organismi comunitari. Gli italiani possono fare la loro parte, con un guadagno per tutti. Parlano ancora i numeri. Nel Btp Day i due titoli più gettonati sono stati il Bot 31 maggio 2012 (proprio quello di cui abbiamo appena parlato) ed il Btp agosto 2013. Sennonché il primo è stato acquistato dal pubblico retail al rendimento netto del 5,30% (lordo del 6,1): un punto meno di quanto il Tesoro, appena tre giorni prima, l'aveva collocato ai 30 dealers professionali che dovrebbero costituire la sua rete di protezione. Quanto al Btp biennale, i privati l'hanno comprato ad un rendimento intorno al 6,3: confrontandolo con il triennale andato in asta martedì 29, siamo ad un punto e mezzo in meno. Si tratta di differenze che in questa situazione valgono oro, anzi platino, per il Tesoro, facendo al tempo stesso sorridere i risparmiatori: non c'è nulla in giro, neppure i conti di deposito, che offra simili retribuzioni. A questo punto viene da chiedersi: perché il Tesoro non attiva un canale di vendita diretta che affianchi quello dei dealers? In aggiunta: perché l'Italia non imita la Germania, dove la Bundesbank si prende in carico i titoli di stato rimasti invenduti per i bassi rendimenti, com'è accaduto il 23 novembre? Di fatto la banca centrale tedesca compra dal governo: esattamente ciò che Angela Merkel proibisce alla Bce. Perché non potrebbe fare qualcosa di simile la Banca d'Italia, per la quale dal 1981 vige invece il "divorzio" assoluto dal nostro Tesoro? Principio sacrosanto, ma se dobbiamo imparare ad essere tutti tedeschi, potremmo imitarli anche in qualche furbizia oltre che nelle teutoniche virtù. Tutto questo ci porta al cuore dell'argomento. Gli italiani vantano un imponente risparmio finanziario – oltre che immobiliare – stimato dalla Banca d'Italia in 3.600 miliardi. Nei portafogli delle famiglie, però, i titoli di stato italiani rappresentano solo il 5,3%: 191 miliardi. La parte del leone (44,2%) la fanno obbligazioni private ed azioni; e poi contante, depositi bancari, risparmio postale. In questo momento, e tranne ovviamente eccezioni che dovrebbero essere valutate in rapporto al rischio, c'è ben poco che offra i rendimenti del nostro debito pubblico. Non lo diciamo solo noi. Afferma Domenico Siniscalco, ex ministro del Tesoro e oggi top manager di Morgan Stanley e presidente di Assogestioni: «Dal 1997 la quota di italiani che investono nei titoli di Stato si è dimezzata. I Bot people, che per decenni si costituirono rendite aggiuntive facendo al tempo stesso l'interesse del Paese, si sono allontanati. Bisogna convincerli a tornare». Anche perché altrove, tra fondi e polizze, non sono mancate delusioni e fregature. Se quei 191 miliardi si raddoppiassero l'intero importo delle scadenze del Tesoro da qui a metà 2010 verrebbe coperto, con un effetto calmiere formidabile ed un ancora più significativo segnale politico e ai mercati. Non a caso qualcuno si sta già muovendo. Azimut ha appena lanciato un fondo, Sodility, interamente composto di titoli di Stato italiani. Lo slogan su sfondo tricolore è affettuosamente dedicato alla Merkel e Sarkozy: «Ride bene chi ride ultimo». Ci scusiamo per questa pubblicità gratuita, ma pensiamo che qualcosa del genere dovrebbe farla soprattutto il governo. Tra tante campagne sui nonni e sulla festa della donna, perché non studiare un Buy Italy? I testimonial, da Fiorello in giù, non mancano. Forza, professor Monti. ps. Forse la vendita diretta e a costo zero dei nostri titoli pubblici crea problemi al sistema bancario. Beh, nella squadra di governo non manca certo il know-how per risarcirlo in altri modi. I costi (minimi) compenseranno i benefici, enormi.

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