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Basta col fango. Serve prudenza

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E ci risiamo. Ancora una volta nei primi giorni di vita di un governo dalla maggioranza parlamentare composita e delicata scoppia un caso giudiziario che getta ombre e sospetti su tutti ma con maggiore dettaglio sull'Udc, la forza politica più impegnata nel parto del governo Monti. Ci riferiamo alla vicenda Finmeccanica in particolare nei suoi aspetti politici. Noi non siamo complottisti ma nemmeno persone che si lasciano prendere per i fondelli avendo visto da vicino per oltre 15 anni le sciocchezze dette dai cosiddetti pentiti dell'ultima ora che pur di togliersi dalle proprie spalle responsabilità documentate allargano ad altri le proprie. La storia dei 200 mila euro consegnati alla sede Udc, ad esempio, ha dell'incredibile. Ma davvero c'è qualcuno che possa credere che dirigenti di un partito appena appena adulti e vaccinati possano ricevere contributi da persone non conosciute personalmente e per giunta davanti a testimoni anche se conosciuti? E quello che vale per l'Udc vale anche per gli altri partiti tirati in ballo o per gli altri parlamentari. Per non parlare, poi, della credibilità di quanti, improvvisamente colpiti da crisi mistiche, incominciano ad accusare altre persone per ridurre il proprio carico di responsabilità o per nascondere quattrini tenuti per sé in modo tale da uscirne arricchiti alla fine della giostra. Potremmo ricordare mille esempi e lo stesso pubblico ministero Paolo Ielo, una persona non "arrabbiata" e senza alcun pregiudizio, dovrebbe ricordare cosa non dissero agli inizi degli anni '90 molti dirigenti dell'Eni accusando tantissime persone, tra cui loro colleghi, in cambio del mantenimento del proprio «illecito arricchimento». Noi non apparterremo mai né alla mediocrità giustizialista ma neanche alla difesa d'ufficio dei parlamentari o dei partiti ma non abbiamo mai dimenticato i tantissimi errori di valutazione degli inquirenti di molte procure d'Italia senza che nessuno avesse mai chiesto scusa alle vittime. Ed allora calma e gesso prima di mettere alla gogna mediatica parlamentari e partiti in particolare quando a lanciare le accuse sono personaggi del calibro di Lorenzo Cola, uno del noto terzetto insieme a De Girolamo e Mokbel, alcuni già condannati ed altri ancora detenuti. O come questo strano imprenditore Tommaso Di Lernia, anche lui per molti mesi detenuto, che in pochi anni ha visto crescere le proprie attività passando da una modesta azienda edile ad una forte società impiantistica. E le stesse dichiarazioni di Lorenzo Borgogni lasciano perplessi visto e considerato che sembra accertato che una parte dei fondi neri li avrebbe trattenuti per sé e per una sua società. Ma non vogliamo sostituirci agli inquirenti. Ciò che non ci sembra, però, né giusto né opportuno è mettere sulla graticola uomini pubblici per giorni e settimane prima di aver accertato, in un silenzio doveroso, ogni fatto ed ogni responsabilità. Casini e Cesa, ma anche Matteoli, La Russa, Alemanno in verità, hanno subito detto di riporre assoluta fiducia negli inquirenti e non è una dichiarazione di maniera. I protagonisti della politica, proprio per la loro attività, sono un bene della Repubblica senza che per questo debbano essere sottratti alla verifica di legalità. Lo ricordino tutti. E tutti si domandino quali segni lascia una campagna mediatica basata solo su dichiarazioni di persone che delinquono sulla vita e sulle opere dei protagonisti della politica se a distanza di anni questi dovessero, poi, essere ritenuti estranei ad ogni responsabilità. Molti, moltissimi segni e a soffrirne non saranno solo le loro vite ma anche la Repubblica che inevitabilmente scivolerà sotto il governo degli uomini senza volto, siano essi magistrati, direttori di giornali, banchieri o quant'altri. Ed allora grande prudenza anche da parte degli organi di informazione che non devono nascondere alcuna notizia ma riempire intere pagine di dichiarazioni di noti delinquenti ritenendoli abituali frequentatori del monte Sinai e quindi possessori indiscussi di verità rivelate rischia di essere un oltraggio all'intelligenza dei singoli, alla Repubblica nel suo insieme e a quell'etica di cui molti predicano da pulpiti improvvisati. Lo diciamo "sine ira et studio". Alziamo il tono del dibattito, recuperiamo compostezza nel linguaggio parlato e scritto e ciascuno di noi sia disponibile ad attendere con serenità e senza gettar fango su molti la verità giudiziaria, quella definitiva, non quella delle indagini. Sarà una nostra malizia ma non vorremmo che il can-can sui politici nascondesse responsabilità molto più gravi di organi istituzionali, e non solo. Da questa linea di comportamento ne guadagnerebbe il Paese, non i delinquenti.

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