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Nel questionario europeo minacce sogni e misure già varate

Merkel (S) e Sarkozy

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Se hai un tipo un po' così a cui hai prestato dei soldi, e questo si ammala, che fai? Lo tieni in vita o lo uccidi? La logica vorrebbe la prima soluzione, ma c'è anche una terza via: lo minacci. Gli tagli le gomme. Gli spedisci biglietti con le lettere ritagliate dai giornali. Lo sfrutti come ogni strozzino che si rispetti. Ci perdonerete se veniamo meno alla retorica europeista ed al totem della credibilità persa dall'Italia, ma abbiamo la netta sensazione che il bandolo di ciò che sta accadendo stia da tutt'altra parte. Un formulario in 39 domande come quello che la commissione di Bruxelles ha spedito al governo italiano con risposta tassativa in sette giorni non si è mai visto. È inaccettabile non tanto nella forma (inaccettabile pure quella) ma nella sostanza. Alcuni dei quesiti corrispondono a misure che l'Italia ha già varato. Come questa: «L'età pensionabile a 67 anni nel 2026 è sufficiente?». Ebbene, forse a Bruxelles ignorano che in Italia si va già in pensione a 67 anni (e sette mesi) nel 2017: nove anni prima. Per inciso, l'anno nel quale il piano di austerity varato da Nicolas Sarkozy conta di mandarci i francesi: non a 67 ma a 62 anni, però. Altri quesiti sono invece da libro dei sogni. Il 36: «Qual è concretamente la politica del governo per le infrastrutture e le costruzioni in relazioni ad aeroporti, porti e trasporti eccezionali via strada?». Verrebbe da dire: magari. Ma che cosa c'entrano con gli spread e gli impegni rigoristi europei? L'Italia ha bisogno di altri aeroporti? C'è una forte aria di pretesto. O di presa alla gola. A cui fanno da pendant i riflessi al rallentatore ed i vuoti di memoria della nostra classe politica. Sentite che cos'è accaduto ieri mattina, quando gli ispettori della Ue e della Bce sono sbarcati a Fiumicino. Testimonianza del ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta: «La documentazione e i quesiti sottoposti dall'Europa all'Italia e, per competenza, a questo ministero, pur essendo stati inviati al ministero dell'Economia il giorno 4 novembre, ci sono stati trasmessi solo ieri sera 8 novembre alle ore 20.47, per un incontro che si sarebbe svolto oggi alle 9». Insomma, l'ex superministro avrebbe infrattato nel cassetto missione e questionario per ben quattro giorni. Il 15 novembre arriva un altro gruppo di inviati, stavolta del Fondo monetario. L'Italia non ha chiesto aiuti al Fondo. Al contrario ne è il settimo contribuente, con 7,8 miliardi. Prima dell'Arabia Saudita. Si potrebbe anche aggiungere che nel fondo salva stati europeo siamo i terzi contributori con garanzie per 139,3 miliardi. Non abbiamo preso soldi, li abbiamo invece dati all'Irlanda, al Portogallo, alla Grecia. A tassi del 3,5-4,5 per cento, molto inferiori a quelli con i quali ci finanziamo sui mercati. Poi ovviamente c'è il famigerato spread tra Btp e Bund tedeschi. Sei mesi fa sedevamo sullo stesso debito pubblico di oggi, non c'era la correzione di bilancio per raggiungere il pareggio in due anni e soprattutto non avevamo tirato fuori 64 miliardi di manovra. E lo spread stava a 170. Oggi siamo a 570, abbiamo aggiunto molti buchi alla cintura, però abbiamo perso la credibilità dei mercati. Domanda: che cosa è cambiato di tanto peggio? Il Cavaliere si dimetterà. Allora, invece, era in sella. È lui il problema? Eppure, a dimissioni annunciate, lo spread è volato di 90 punti. Non siamo vittimisti e non crediamo ai complotti, abbiamo ben presenti i nostri limiti. Però un'idea cominciamo a farcela. Tutto è cominciato d'estate, quando la crisi greca si è avvitata avvicinandosi a quel default che tutti continuano a negare, ma nei fatti già in corso. Il fallimento della Grecia non ha tanto mostrato che un paese dell'euro può andare sotto, fatto non contemplato nelle tavole di Bruxelles, ha invece messo in bruttissimi guai le banche più esposte in titoli greci: per prime le francesi, per 80 miliardi di euro. Per seconde le tedesche, con 40 miliardi. Francia e Germania, però, avevano già salvato i loro big del credito. La Dexia, franco-belga-lussemburghese, è addirittura fallita due volte, con ricapitalizzazione a carico dei contribuenti. Stessa cosa in Inghilterra per la Royal Bank of Scotland e la Hbos. Tutti soldi, però, che in virtù dei soliti codicilli, non sono andati ad appesantire i debiti di Berlino, Parigi e Londra. Ma torniamo al default ellenico. Come evitare un nuovo salvataggio bancario? Sarkozy e Angela Merkel hanno passeggiato sul lungomare di Deauville, si sono incontrati infinite volte. Finché hanno trovato la gabola. Che è racchiusa nella decisione della European banking authority: i titoli tossici greci in pancia alle banche franco-tedesche non creano problemi, in quanto «compensati» dai titoli nazionali. Pertanto alle banche renane non era imposta la ricapitalizzazione; obbligatoria invece per quelle italiane detentrici di Btp. È ovvio che le banche sottoscrivano i rispettivi titoli di Stato, tanto più se li portano a scadenza: esistono emissioni lunghissime a cedole elevata studiati apposta per banche e assicurazioni. Meno ovvio e certo che vadano a scommettere sui paesi a rischio. Ma qui ecco il diavoletto nascosto nei dettagli. Lo ha spiegato sul «Corriere della Sera» l'editorialista finanziario Massimo Mucchetti: per conteggiare il rischio, l'Eba ha usato il criterio «mark to market». Lo stesso che ha alimentato la bolla pre-Lehman Brothers. Ai titoli è stato cioè attribuito non il valore nominale o cedolare, ma il prezzo corrente di mercato. E per i Btp già in crisi di spread, si è messo in moto un meccanismo infernale. Per non essere costrette a ricapitalizzarsi le banche hanno una sola alternativa: venderli. Mentre per il Tesoro è venuta meno la cintura di sicurezza garantita dagli istituti di credito domestici. Naturalmente, mentre tutto cià accadeva sull'asse Parigi-Berlino noi avevamo la testa altrove. E dire che l'Eba è presieduta proprio da un italiano, Andrea Enria, ex di Bankitalia. Le nostre autorità politiche e bancarie non si sono accorte del tranello? Non diciamo Berlusconi (che pure avrebbe dovuto occuparsi anche di queste cose, anziché raccontare barzellette), ma almeno Tremonti? Ammettiamolo: l'Europa ci ha fregato. Ed ora, a Mario Monti fresco di nomina a senatore a vita e possibile nuovo premier, chiederà di fregarci di nuovo.

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