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La destra di Renzi sfida la sinistra di Bersani

Il sindaco di Firenze Matteo Renzi durante il suo intervento finale alla convention dei rottamatori ''Big Bang''

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Ormai il Pd recita due parti in commedia. Da un lato Pier Luigi Bersani, l'erede della tradizione comunista, un Peppone (così lo ha recentemente rappresentato il suo più famoso imitatore Maurizio Crozza) trasportato nel Terzo Millennio. Dall'altro Matteo Renzi, il «cattolico popolare» con venature spiccatamente berlusconiane. Due mondi diversissimi, forse inconciliabili, che hanno già cominciato a darsi battaglia in vista delle primarie per la leadership del centrosinistra. Destra e sinistra racchiuse nello stesso recinto. Perché se il sindaco di Firenze lancia messaggi liberisti, apre alla riforma delle pensioni, sfida il sindacato e loda Sergio Marchionne, applaude Pietro Ichino e la sua proposta sui licenziamenti, loda la lettera della Bce, Pier Luigi Bersani spinge decisamente nella direzione opposta. E bolla le posizioni di Renzi con una frase che è già un programma alternativo: «Attenzione a non scambiare per nuove, idee che sono un usato degli anni ottanta. Queste ricette facili, queste idee troppo semplici, ci hanno portato dei guai». Insomma anche se Matteo si affretta a spiegare che lui non ha alcuna intenzione di fare il segretario del Pd («Non ci penso neppure») e dribbla le domande sulla candidatura a premier («I problemi non li risolve solo il presidente del Consiglio. Un buon premier è uno che sceglie collaboratori più bravi di lui. L'importante, da questa sera è candidare non le persone ma le idee»), è chiaro che Bersani non ha alcuna intenzione di lasciargli libertà di movimento. E anche per questo, dopo aver spiegato che lui non ha alcuna paura di mettersi in gioco in una consultazione popolare, ricorda che «il regolamento delle primarie di coalizione lo fa la coalizione». Un modo carino per dire che il Pd, non potrà presentarsi all'appuntamento con più di un candidato. Per tutta risposta il sindaco di Firenze, chiudendo il suo Big Bang, replica spiegando che se i Democratici non facessero le primarie sarebbe «peggio di un crimine» e che, comunque, «il candidato del Pd deve essere scelto dalle persone e non da un gruppo dirigente». Altrimenti il partito dovrebbe chiamarsi «non più democratico, ma totalitario». Quindi rilancia il suo cavallo di battaglia: basta con la burocrazia, c'è bisogno di cambiare le «facce», mantenendo il volto del Pd che «abbiamo». Intanto da Marco Pannella e soprattutto dal Pdl arrivano applausi per Renzi. Tra destre ci si capisce.

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