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Napolitano: Bossi è fuori dalla storia

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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«La soluzione è la secessione. Come si fa a stare in un Paese che sta perfino perdendo la democrazia giorno per giorno?». Chissà quante volte Giorgio Napolitano avrà ripensato in questi due giorni alle parole urlate a Venezia da Umberto Bossi. Chissà come avrà appreso la notizia visto che, mentre lui pochi giorni prima, parlando da Bucarest, aveva invitato il Paese a «sprigionare un forte fermento nazionale unitario», in Luguna il popolo padano rispondendo all'invito del suo "capo" gridava «Padania libera». Per poco più di 48 ore il presidente della Repubblica ha preferito tacere, poi, ieri pomeriggio, uscendo dalla mostra "La macchina dello Stato", ospitata nell'Archivio di Stato a Roma, ha capito che era ora di mandare un chiaro messaggio a tutti quelli che ancora oggi vorrebbero dividere l'Italia: di fronte all'emergenza della crisi, «agitare la bandiera della secessione significa porsi fuori della storia, della realtà e dell'indispensabile impegno comune per fare fronte alla situazione». Il Capo dello Stato è risentito. Sembra quasi che i suoi appelli all'Unità rimangano sempre più disattesi. «Ho messo molto l'accento sulla necessità di un cemento nazionale unitario per generare la massima mobilitazione delle energie e delle risorse allo scopo di superare questa fase molto critica per l'Europa e in modo speciale per l'Italia», sono le sue parole. Insomma bisogna riscoprire «le radici dello stare insieme, e chi non ci sta si autoesclude dalla realtà e dalla storia».   Un chiaro avvertimento al Carroccio con il quale, ormai da tempo, sembra essere entrato in rotta di collisione. Infatti basta guardare agli ultimi mesi per capire come il rapporto tra il Quirinale e i Lùmbard si sia lentamente deteriorato. E così, se a maggio Bossi diceva che «sul Federalismo sono giuste le parole di Napolitano» oppure che se «Napolitano chiede di evitare scontri durante le Amministrative, io sto con lui», da Pontida la musica è cambiata. Era infatti il 19 giugno quando il Senatùr iniziò a scagliarsi contro il Colle: «Il presidente della Repubblica mi aveva detto "Umberto ti aiuto io a battere il centralismo romano". Invece abbiamo dovuto andare avanti da soli». Uno sfogo dettato sicuramente dalla dura opposizione del Capo dello Stato alla decisione di decentrare alcuni ministeri al Nord che però ha dato il via a dei duri botta e risposta nei mesi seguenti. E così è stato per i rifiuti di Napoli («capisco Napolitano ma i rifiuti restino là»), sulla guerra in Libia («Berlusconi non la voleva, il presidente della Repubblica sì») e infine sulle auto blu («inammissibile che Napolitano abbia a sua disposizione 40 automobili»). Un'accusa, quest'ultima, smentita dal Colle («la dotazione è di 35 auto delle quali il presidente solo 3 Lancia Thesis e 2 storiche») che dimostra comunque come, anche la crisi, sia diventata motivo di scontro tra la Presidenza e i nordisti. E proprio con un riferimento al difficile momento che il Paese sta vivendo Napolitano ha voluto concludere lanciando un messaggio di speranza dopo il declassamento dell'Italia da parte di Standard and Poor's: «I dati non rimpiccioliscono il Paese». Infatti «siamo una grande economia, una società molto vitale». Ma questo «deve essere messo a frutto con scelte appropriate e il più possibile condivise».   Ma la giornata di Napolitano è stata segnata da una serie di vertici che hanno visto salire al Quirinale in mattinata il ministro Roberto Maroni e nel pomeriggio i capigruppo del Pdl di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri. Incontri durante i quali il Capo dello Stato avrebbe sondato la tenuta della maggioranza e la capacità della coalizione di governo di portare avanti un pacchetto per lo sviluppo e i provvedimenti che servono al Paese. In realtà, secondo quanto circola in Transatlantico, le "consultazioni ombra" di Napolitano andrebbero nella direzione di capire se ci potrebbero essere le condizioni per un eventuale passo indietro del premier (cosa sulla quale stanno spingendo Gianni Letta e Fedele Confalonieri) con l'eventuale varo di un nuovo governo di centrodestra guidato da Angelino Alfano con al fianco lo stesso Maroni e appoggiato dal Terzo Polo. E questa volta il "detonatore" che può far deflagrare la situazione potrebbe essere alle porte, proprio con il voto di giovedì su Marco Milanese.

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