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Fli è stufa di Bocchino. E si scopre senza leader

Gianfranco Fini e lo stato maggiore di Futuro e Libertà all'inaugurazione della sede nazionale del partito (foto Pizzi)

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Il livello di nervosismo dentro Futuro e Libertà si misura anche da piccoli dettagli. Come ad esempio il fatto che la riunione dell'ufficio di presidenza, prevista in origine per oggi all'una, è stata spostata alle 10 di mattina. Il motivo? Evitare che Gianfranco Fini – in una delle sue rarissime partecipazioni alla vita del partito – possa incrociare i giornalisti. Perché quella di oggi non sarà una riunione tranquilla. Fli è sempre di più un partito senza una guida. Da una parte c'è il presidente della Camera, quello che dovrebbe essere il leader carismatico, che invece è sempre più distante dal movimento che ha lanciato solo un anno fa. Il suo discorso di domenica a Mirabello non è piaciuto ai militanti, non ha entusiasmato, è sembrato scivolare troppo verso una sudditanza all'Udc di Pier Ferdinando Casini. E la rabbia sui siti di Futuro e Libertà si è fatta sentire: i commenti erano tutti inviti a Fini a ritrovare lo spirito «battagliero» di un anno fa e a dimettersi da presidente della Camera per seguire più da vicino la vita del partito. Ipotesi che, per il momento, all'ex alleato di Silvio Berlusconi non passa proprio per la testa. L'altro leader di Fli, Italo Bocchino, è ormai un capo azzoppato. L'intervista a Sabina Began nella quale l'ex «ape regina» delle feste del Cavaliere racconta la sua storia estiva con il deputato, condita da messaggi telefonici in cui Bocchino si sbilanciava in un «sono come Berlusconi», è stata la goccia che fatto traboccare il vaso. Perché i parlamentari di Futuro e Libertà da tempo erano stufi proprio dell'atteggiamento troppo disinvolto di Bocchino. Ma come – è stato il ragionamento – noi critichiamo il premier e poi abbiamo il nostro vicepresidente del partito che si comporta come lui? Così sono cresciuti i malumori interni, le liti, il nervosismo. E la richiesta sempre più pressante perché lasci la carica a qualcun altro. Una corsa che vede già diversi pretendenti. Nessuno dei quali però sembra avere il passo giusto per guidare Fli. Piacerebbe molto a Fabio Granata prendere le redini del partito ma il «falco» dei finiani è sospettato e accusato di essere troppo collocato a sinistra, di tradire, insomma, i valori della vera destra. Un pensiero lo sta facendo anche Benedetto Della Vedova, anche lui in movimento per sbarazzarsi di Italo Bocchino. Ma nel gruppo parlamentare l'ex radicale non ha molto seguito. Il candidato «naturale» dovrebbe essere Roberto Menia, l'uomo di cui Gianfranco Fini si fida ciecamente. Ma è anche quello che meno ha voglia di mettersi alla guida del partito. E Bocchino? Per il momento tace, ha rifiutato tutte le interviste che gli sono state proposte in questi ultimi giorni (stasera invece Fini sarà ospite della puntata di "Otto e mezzo" su La7), ha un diavolo per capello ma ha deciso di non mollare. E nel sito della sua Fondazione «Generazione Italia» ha affidato a Potito Salatto un lungo editoriale nel quale difende la scelta di Fini di non dimettersi da presidente della Camera e di restare all'interno del Terzo Polo. «Sinceramente non ho ancora capito cosa si pretendeva da Gianfranco Fini a Mirabello – scrive – Da leader del partito ha fatto tutto ciò che doveva fare: ha indicato ancora una volta una linea esauriente sulla quale, certo, si è aperto il confronto interno, perché si può condividere o meno com'è giusto che avvenga in un partito non monocratico». «Sciocco, invece – prosegue – è chi non la condivide tout court senza proporre argomenti alternativi, danneggiando così solo l'immagine di Fli che mai, come in questo momento, deve dare segnali di compattezza e univocità. La questione delle dimissioni da presidente della Camera è stata ormai affrontata definitivamente con ampie spiegazioni sull'inopportunità di una scelta del genere. Tornarci sopra ogni volta è da irresponsabili, perché si mina l'autorevolezza del ruolo senza alcun vantaggio di ritorno». «Per quel che invece riguarda il Terzo Polo – è la conclusione – solo chi è politicamente miope può non essere d'accordo con la sua realizzazione. Cosa potremmo fare da soli? Una sterile battaglia di testimonianza politica fine a se stessa? Qualcuno ripetutamente dice che con il Terzo Polo non vuole morire democristiano. Questa è un'affermazione assolutamente antistorica, così come sarebbe antistorico immaginare di poter morire missino». Intanto però già si vocifera di una nuova fuga: Antonio Buonfiglio potrebbe passare con il gruppo di Adolfo Urso.

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