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La casta sbaglia e paga

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«Mi pare, caro professore, che la seconda Repubblica sia agli sgoccioli, finirà a pietrate e non con un lancio di monetine come per Craxi. Io auspico il ritorno del Papa-re, il quale così potrà dire, affacciandosi dal balcone del Quirinale: "Ritorniamo dove già fummo", come il povero Ben disse quando spedì i coloni in Libia». Così mi ha scritto, in calce a una lettera che accompagnava alcuni vecchi articoli del padre, un carissimo amico genovese, Giovanni Battista Ansaldo, figlio di quel Giovanni Ansaldo che fu uno dei più grandi e acuti giornalisti italiani del Novecento. È una considerazione amara, fra l'ironico e il paradossale, che giunge da un uomo tutt'altro che papalino e che, mi sembra, esprime un sentimento largamente diffuso nel paese. Nelle parole del mio amico Ansaldo non è preconizzata tanto la fine del berlusconismo - come, ultimo fra tanti, ha evocato, dal palco di Mirabello, un Gianfranco Fini, sempre indecentemente abbarbicato allo scranno di presidente della Camera - quanto piuttosto la scomparsa di un sistema politico e la fine stessa dell'unità nazionale nell'anno del suo centocinquantesimo anniversario. L'immagine di Joseph Ratzinger al Quirinale nelle vesti di un nuovo Papa-re, certo, ha il sapore di una provocazione intellettuale. Alla quale, per gusto del paradosso, si può aggiungere un'altra immagine, quella dell'intera penisola riportata indietro, all'epoca degli Stati pre-unitari con regni, ducati e granducati, se non addirittura, ancora più in là, all'epoca dei comuni e delle signorie. Un quadro fantapolitico e fantastorico. Che sarebbe però perfettamente in linea con la bella apologia della reazione fatta da un liberale doc come Panfilo Gentile: «Ci sono delle epoche nella storia in cui si può andare avanti soltanto tornando indietro. Quando un organismo va in putrefazione, non si può costruire niente tra i miasmi. Bisogna ricominciare da capo, tornare indietro e recuperare ciò che si è perduto. Perciò oggi il progresso può significare solo reazione. L'unico modo di essere progressisti è di essere reazionari». Fantapolitica e fantastoria a parte, la realtà è che la seconda repubblica - se pure è mai nata - è davvero in agonia. Le ragioni e le modalità della sua fine prossima ventura, peraltro, sono diverse da quelle della prima repubblica. Quest'ultima era crollata sotto i colpi di maglio della rivoluzione giudiziaria di Tangentopoli e sotto il peso della degenerazione di un sistema, partitocratico e correntocratico, sostanzialmente oligarchico, una "democrazia bloccata" e impacciata dalla copertura ideologica di un antifascismo elevato a strumento legittimante, che, per un verso, ghettizzava un settore dell'elettorato rendendolo politicamente inutile e, per altro verso, spingeva le forze politiche, di governo e di opposizione, verso una "cogestione" di fatto del potere con tutti i possibili e conseguenti risvolti corruttivi. La seconda repubblica, sorta dalle macerie della prima, sull'onda dell'indignazione popolare nei confronti della corruzione politica e della spinta propulsiva della "fine delle ideologie" conseguente al crollo dei regimi fondati sul socialismo reale, apparve come una speranza di rinnovamento in nome di una "rivoluzione liberale" che avrebbe dovuto portare il paese in una situazione di "normalità" inserendolo, grazie a un ammodernamento istituzionale, nel novero delle liberal-democrazie fondate sull'alternanza politica e sulla libera concorrenza. Fu una speranza senza seguito perché il ricambio della classe politica fu parziale e perché, ancora, gli "uomini nuovi" esprimevano in gran parte una mentalità non politica ma affaristica, che ha portato alla confusione tra pubblico e privato e alla sostituzione di una corruzione perpetrata a favore dei partiti a una corruzione a uso strettamente personale. Le grandi conquiste della seconda repubblica - e ce ne sono, dall'introduzione del meccanismo di alternanza al governo fino alla semplificazione del quadri politico - hanno finito per essere offuscate dalla brutalizzazione della lotta politica e dalla paralizzante sostituzione della linea di frattura fascismo-antifascismo con la nuova linea berlusconismo-antiberlusconismo. La "rivoluzione liberale" non è decollata. Le resistenze corporative, lo strapotere di una parte della magistratura sempre più politicizzata, la confusione dei poteri, l'emergere della nuova corruzione a fini personali, la difesa dei privilegi della casta politica, il decadimento del senso dello Stato e delle istituzioni hanno avuto la meglio. E si è giunti, così, a una situazione di fine impero nella quale il disprezzo per la politica (e per i politici) sta dilagando in maniera incontrollabile. Senza un serio esame di coscienza, il destino della seconda repubblica, nel quadro di un generale declino del mondo occidentale, è segnato. E sarà un destino che rischia di finire, come ha scritto il mio amico Ansaldo, "a pietrate e non con un lancio di monetine".  

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