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Erdogan in Egitto sponda contro Israele

Il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan

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Israele sempre più isolato. La crisi con Ankara, le tensioni con l'Egitto e le proteste interne degli indignados stanno mettendo a dura prova la tenuta di Tel Aviv. E la Turchia che, abbandonato l'antico alleato, sceglie proprio Il Cairo per confermare la rottura dei rapporti. Nella capitale egiziana, teatro tre giorni fa dell'assalto alla sede diplomatica di Tel Aviv, il premier Erdogan alza i toni. Ad aggravare la situazione la dichiarazione del governo di Mosca che assicura il suo appoggio all'Onu per l'indipendenza della Palestina lo stesso giorno nel quale l'ambasciatore di Mosca al Palazzo di Vetro si oppone alle sanzioni alla Siria. «Il nostro atteggiamento nei confronti di Israele è stato chiaro fin dall'inizio: scuse al popolo e al governo turco, indennizzo delle famiglie delle vittime (dell'attacco alla flottiglia della libertà ndr), revoca del blocco illegale imposto a Gaza. Ma questa posizione non è stata presa sul serio». È quanto afferma in un'intervista a tutta pagina al quotidiano egiziano «al Shouruk», il premier turco Recep Tayyip Erdogan, alla vigilia di un'attesa visita in Egitto, prima tappa di un tour che lo porterà in altri due Paesi della «Primavera araba», Libia e Tunisia.  «Israele è abituato a non essere giudicato per i suoi comportamenti e ad essere trattato come se fosse al di sopra della legge. È diventato come un bambino viziato e non si accontenta di esercitare il terrorismo di Stato contro i palestinesi, ma agisce senza senso di resposabilità e non vuol riconoscere che il mondo, quello arabo in particolare, è cambiato», afferma il premier turco. «Il nostro atteggiamento verso Israele è diretto a un comportamento politico e non contro il popolo israeliano. Noi difendiamo la dignità del popolo turco e questo supera di gran lunga il nostro interesse alle relazioni con Israele», precisa Erdogan. Alla domanda se la presenza di scorte navali turche nel Mediterraneo potrebbe aprire la porta a una possibile provocazione della Marina israeliana per portare la Turchia a una confronto militare, Erdogan risponde che questa possibilità è «esclusa dal quadro regionale e internazionale». «Comunque la Marina turca è pronta ad affrontare tutte le possibilità, anche le peggiori», sottolinea Erdogan. Qualche giorno fa il premier turco aveva spiegato ad Al Jazeera che il raid dell'esercito israeliano sulla Freedom Flotilla dell'anno scorso è un «casus belli, ma la Turchia ha deciso di agire conformemente alla sua grandeur e ha dimostrato pazienza». Erdogan vuole aumentare la sua influenza nel mondo arabo e da qui la scelta di raffreddare i rapporti con Israele. Intanto, nell'ambito della crisi con Israele, la Turchia sta inviando tre navi da guerra nel Mediterraneo orientale: lo segnala un quotidiano turco ben informato sulle attività del governo fornendo indicazioni sulle regole di ingaggio per un eventuale scontro con le navi israeliane. In questo scenario si sono messi in moto i moderati del governo Netanyahu per spegnere le scintille che rischiano di appiccare un incendio dai contorni devastanti. Un fattore di cui si mostra consapevole in particolare il ministro della Difesa israeliano Barak che sta cercando di persuadere i colleghi di governo dell'interesse d'Israele a disporsi a compromessi capaci di favorire «un progresso reale con i palestinesi». In modo da togliere quanto meno un pretesto alle forze radicali della regione.

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