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Protesta inutile, mancavano le idee

Sciopero generale, il corteo della Cgil a Roma

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Le piazze della Cgil, quelle dello sciopero generale di ieri, erano vuote. Non mi riferisco al numero dei manifestanti, come al solito oggetto di supposizioni così diverse da far credere che in Italia ci sia una sorta di veto all'uso dell'aritmetica. No, non mi riferisco ai cortei, anche perché scioperare e manifestare è un diritto, non subordinato al successo. Neanche mi riferisco alla partecipazione allo sciopero,ovvero ai lavoratori che vi hanno aderito. Chiunque abbia occhi per vedere e sale in zucca sa benissimo che l'Italia non si è fermata e che le cifre fornite dalla Cgil sono forse degli auspici, non certo dei consuntivi. Gli scioperanti erano in larga minoranza anche nella categoria dei metalmeccanici, nonostante la specifica organizzazione sia quella che ha forzato la mano all'intero sindacato rosso. Il che non meraviglia, del resto, perché anche ai conteggi referendari la Fiom s'è trovata a essere minoranza. Che non è una colpa, ma una realtà. Il vuoto cui mi riferisco è quello delle idee.   Il rito non basta a coprirlo, anzi: lo mette in maggior risalto. Terminare il comizio del segretario generale, Susanna Camusso, ritmando una versione post moderna di «Bella Ciao», non è un buon segno. Viva la Resistenza e i partigiani, ma che cosa cavolo c'entrano? Chi sarebbe «l'invasor»? Brutto segno se si considera tale la maggioranza dei cittadini aventi diritto al voto. Non c'è nessuno da seppellire, né «lassù in montagna» e manco qui a valle. Anzi, a proposito, non è una buona cosa chiedere che dei ministri vengano trovati «vivi o morti». Non fa ridere. Specie nelle mani del sindacato che si oppose alle idee di Marco Biagi, effettivamente accoppato da dei criminali. Tutto questo, appunto, non cambia la tesi della Camusso: sono pronti a battersi, con forza e convinzione, «contro». Contro la manovra. E va bene, è legittimo. Sapesse quel che abbiamo scritto noi! Ma noi aggiungiamo sempre quel che, invece, si dovrebbe fare, e, non ce ne voglia, se la parte costruttiva consiste nel reclamare che le tasse le paghino quelli che non le pagano, siamo un po' scarsini. Primo, perché trattasi d'invocazione alla luna, per giunta condivisa dal governo. Secondo, perché se anche ci si riuscisse (ed è giusto che ci si voglia riuscire) non toglierebbe nulla né alle arretratezze del mercato del lavoro né allo squilibrio strutturale della previdenza. Il vuoto non è mai incolore, finisce sempre con il riempirsi. Se dovessi dire, sulla base degli applausi indirizzati alle parole della Camusso, chi sono gli avversari di quelle piazze sventolanti, ci sarebbe poco da scegliere: il governo, certamente, ma assieme a quello la Cisl e la Uil. Lo sciopero generale era contro il governo e contro la maggioranza del sindacato confederale. Posto che i sindacati confederali tutti assieme rappresentano una ridotta minoranza di lavoratori e hanno fra i loro iscritti prevalentemente dei pensionati. Restiamo alle proposte, che non c'erano. Fra i politici che sfilavano (Bersani, Bonelli, Di Pietro, Vendola, per citarne alcuni) non si sono raccolte dichiarazioni di dissenso verso l'intervento del Presidente della Repubblica. Un cartello si rivolgeva a Napolitano chiedendogli: «libera nos a malo». Lasciamo perdere le suggestioni mistiche, ma dal Quirinale si erano fatte sapere due cose: a. la manovra economica era troppo blanda (difatti ieri è stata rinforzata); b. occorreva approvarla subito. Mettiamo d'un canto il fatto che, a leggere la Costituzione vigente, che i manifestanti, ci scommetto, vogliono difendere (ma da chi? da che?), non si trova l'appiglio per tali interventi presidenziali.   Badiamo alla sostanza: quel che Napolitano ha chiesto è l'esatto contrario di quel che quella piazza crede possibile, di quel che a quella piazza si fa credere sia possibile. Inutile cincischiare in politichese, pretendendo di conciliare il bisogno di far fronte alla speculazione contro i titoli del debito pubblico con l'opposizione a tutto quello che serve per cambiare l'Italia, perché non si può. Abbiamo avuto parole severe nei confronti del governo, che le meritava. Ma un sindacato che pensa ancora di vivere fra i partigiani e le mondine, che preferisce l'antagonismo alla complessità, è uno dei pezzi dell'Italia che dobbiamo lasciarci alle spalle. Guglielmo Epifani provò a resistere, opponendo politica agli alfieri interni dell'antagonismo. Fu travolto e perse. La Camusso passa dal firmare documenti con Confindustria e con l'Abi a pretendere che non si faccia nulla di quel che anche questi chiedono. Ecco perché quelle piazze erano vuote: non è possibile riempirle con roba irrimediabilmente inconciliabile.

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