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Speculatori della politica

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C'è qualcosa di peggio della speculazione finanziaria internazionale, ai cui polsi il nostro Marlowe vorrebbe giustamente mettere le manette. È la speculazione politica che cerca di farne in Italia il principale partito di opposizione, il Pd. Immagino, e mi auguro, con quanto disappunto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, vista la presenza da quelle parti di molti suoi ex compagni. Gli può essere tuttavia di conforto, per quanto gramo, il fatto che a speculare di più politicamente sugli "speculatori" finanziari - le virgolette sono dell'Unità- sia nel Pd un uomo di provenienza non comunista ma democristiana, il capogruppo dei deputati Dario Franceschini. Che è stato il predecessore più immediato, e temporaneo, di Pier Luigi Bersani alla segreteria. E che, sconfitto dallo stesso Bersani nella corsa congressuale per la successione a Walter Veltroni, è stato singolarmente premiato con il maggiore incarico istituzionale del partito, costituito appunto dalla presidenza del più consistente dei due gruppi parlamentari: quello di Montecitorio. È proprio in questo ruolo che Franceschini è arrivato a sostenere, testualmente, che la formazione di un nuovo governo, cioè una crisi, equivarrebbe da sola a "tre manovre economiche messe insieme". Gli ha fatta eco ieri il solito Marco Travaglio, in una gioiosa sospensione delle ferie appena annunciate, scrivendo che con una crisi di governo "Piazza Affari, anziché chiudere per eccesso di ribasso, riaprirebbe di domenica per eccesso di tripudio". Ma torniamo a Franceschini e alla sua strana visione dei mercati e della politica. Di fronte alla quale viene voglia di chiedere al segretario del suo partito se più opportune e urgenti delle dimissioni di Silvio Berlusconi dalla guida del governo, non siano quelle dello stesso Franceschini da capogruppo del Pd. Al quale peraltro l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi, già capo dell'Ulivo e dell'Unione, le due alleanze di cosiddetto centrosinistra sperimentate negli ultimi quindici anni, e già presidente della Commissione dell'Unione Europea, sembra ancora più bollito del Cavaliere per avere osato schierarsi nei giorni scorsi contro una crisi. E avvertire che «nella tempesta non si cambia pilota». Ciò varrebbe, secondo Franceschini, in «tempi ordinari». Che non sarebbero naturalmente questi. Ci sono evidentemente tempeste ordinarie, durante le quali è bene tenersi stretto il pilota, e tempeste straordinarie, al cui arrivo l'equipaggio e i passeggeri della nave debbono subito provvedere a buttarlo a mare. È proprio un intelligentone, questo capogruppo, smanioso con il suo predecessore Veltroni di un governo tecnico, o di analoga denominazione, sapete per quale astuto motivo? Perché, non avendo i suoi componenti l'onere di candidarsi alle elezioni, potrebbe fregarsene della impopolarità ed assumere tutte le decisioni drastiche e necessarie a mettere a posto le cose. Emanuele Macaluso, il direttore del giornale il Riformista, al quale Franceschini ha affidato sabato queste sue convinzioni, è stato il primo a sobbalzare sulla sedia a leggerne le stravaganze. Egli ha infatti ricordato onestamente nel suo editoriale che «l'opposizione ha la responsabilità di non sapere proporre al popolo italiano un governo alternativo in grado di fronteggiare meglio l'emergenza». Evidentemente Macaluso, buon amico peraltro del Capo dello Stato, non considera tale il governo dei tecnici sognato da Franceschini, e magari guidato dall'ex commissario europeo Mario Monti. Che da tempo si lascia tranquillamente candidare a questo ruolo discettando della crisi sul Corriere della Sera, come ha fatto anche ieri. Spero senza condividere la presunzione alquanto cervellotica di Franceschini, e compagni, che possano esonerarsi dalla impopolarità dei provvedimenti di un suo o analoghi governi, e dagli effetti elettorali, i partiti necessariamente chiamati ad approvarli. E naturalmente a dare la fiducia parlamentare, ancora imposta dalla Costituzione. A meno che Franceschini, preso dai suoi romanzi, non se lo sia dimenticato.

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