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Governo tecnico Sogno da imbecilli

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Miriferisco, ovviamente, a Benedetto Croce. Che viene giustamente onorato ancora oggi per tutti gli aspetti della sua opera di filosofo, storico, critico, erudito e anche politico, ma del quale si evita sempre di ricordare il motivo per cui dovrebbe oggi sembrarci più attuale che mai: la micidiale ironia con cui sbeffeggiò, appunto, il mito del “governo tecnico” e, con esso, la solfa della “questione morale”. Non certo soltanto di quella che ancora oggi ispira l'azione virtualmente sovversiva dei nostri giacobini in salsa giudiziaria. Ma di ogni possibile “questione morale” di ieri, di oggi e di domani. Giacché la “questione morale” che egli avversò è quella, ideale ed eterna, che ogni tanto fa chicchirichì da qualche parte. E il saggio in cui Croce la derise intitolato “L'onestà in politica”, scritto all'inizio del secolo scorso, fu inserito in “Etica e politica”, il volume in cui raccolse, nel '31, i suoi lavori sul rapporto, appunto, fra politica e morale. Fin dalle prime righe di quel testo egli espresse dunque un feroce disprezzo per il moralismo in rebus politicis definendo «volgare e petulante» la richiesta che spesso si fa dell'“onestà” nella vita politica». Ma l'epiteto decisivo – «imbecilli» – ricorre nel passo successivo. Ecco quelle righe immortali: «L'ideale che canta nell'anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago composto di onest'uomini ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l'abilità in qualche ramo dell'attività umana, che non sia per altro la politica propriamente detta: questa invece, dovrebbe, nel senso buono, essere la risultante di un incrocio fra l'onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna, non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell'ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt'al più qualche volta, episodicamente, ha fatto per breve tempo salire al potere un quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini da tutti amati e venerati per la loro probibà e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so del pari alta, d'inettitudine». Sono fra l'altro sicuro che il nostro Presidente, essendo un napoletano cresciuto da ragazzo nel culto di Croce, apprezzi molto quel saggio. E non è escluso che proprio questo sia il principale dei tanti motivi per cui egli sembra deciso a evitare di iscriversi al club dei fautori di un “governo tecnico”.

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