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L'Italia liberale è piccola ma continua a esistere

Davide Giacalone

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Liberale sarà lei! oh direttore. E non s'azzardi oltre a inserirmi nella pattuglia di quanti a quella cultura si richiamano. Per essere più convincente farò alcuni esempi, pregandola di arrivare fino in fondo, talché mi sia possibile dirle dove passa il confine fra l'Italia che, da tempo, s'esibisce sul palcoscenico della politica e quella che pensa la politica sia una cosa seria. La manovra economica del governo e l'atteggiamento accondiscendente dell'opposizione, a ciò indotta dall'orientamento politico del Quirinale, dimostrano, ancora una volta, che l'Italia si muove quando è pressata da vincoli esterni. Come lo scolaro somaro, insomma, che non studia per interesse o passione, ma a seguito degli scapaccioni che riceve. Il vincolo esterno, questa volta, è rappresentato da un presunto attacco speculativo contro l'Italia. In realtà si tratta del fatto che l'euro, la moneta che abbiamo in tasca, ha squilibri strutturali e la sola idea che possa essere nelle mani di cittadini che pagano tassi d'interesse, sul debito del loro Paese, distanti fino a dieci punti fra di loro è un assurdo. Ma tant'è: basta che altrove si dica che le colpe sono nostre che tacchete, in casa il governo procede a fare l'unica cosa che sanno fare i disperati: tassare. Si sarebbe potuto, e si potrebbe, invece, fare tante cose utili e rivoluzionarie, capaci di aprire un futuro rigoglioso. Esempi. 1. Anziché parlare di tagli alle pensioni, praticandoli con insensato sadismo, si potrebbe ragionare di riforme serie. Con la manovra governativa si dovrà attendere il 2030 per avere la parificazione dell'età pensionabile di donne e uomini, e il 2050 perché si ritirino dal lavoro a 70 anni. Nel frattempo le impiegate pubbliche parificano alla svelta l'età con i colleghi maschi, perché a ciò ci costringe una (giusta) sentenza europea. Si poteva fare in tempi identici, così smorzando un dibattito che rischia di durare tra i 15 ei 35 anni. Che alla sola idea mi sento male. 2. Sempre in tema di pensioni, si dovrebbe cancellare la reversibilità, ovvero la pensione lasciata in eredità ai vedovi. Non per colpire le belle slave che sposano i nostri vecchietti, rinvigorendo in loro l'amore per la famiglia, ma per prendere atto che la società è cambiata, le famiglie non sono quelle di una volta e le donne non c'è proprio motivo di considerarle minorate. Lo so, la sola idea fa impazzire sindacati e sinistra, ma si potrebbe ricordare loro chi introdusse le pensioni di reversibilità: Benito Mussolini. In cambio si deve dare ai lavoratori minore pressione contributiva, di modo che abbiano risparmi da potere investire, se lo vogliono, in pensioni integrative per sé e per i propri familiari. Della serie: sono persone adulte, capaci di decidere. 3. Si parla tanto di privatizzazioni, ma noi amanti del mercato c'insospettiamo. Abbiamo già vissuto la stagione delle privatizzazioni fatte malissimo, utili solo a trasferire ricchezza pubblica in poche tasche private. Si deve vendere non ciò che produce utili, o, almeno, non per prima cosa, ma quel che produce guasti. E senza acquirenti protetti. Esempio: si venda la Rai, territorio di lottizzazioni e sprechi, in modo da rendere più forte la concorrenza a Mediaset. Perché mi guarda così, direttore? È stato lei a darmi del liberale, così impara. Si vende quel che crea mercato e aumenta la competizione, non quello che consente rendite a privati profittatori. 4. Oltre a privatizzare si deve esternalizzare. La gran parte della spesa pubblica potrebbe essere compressa se fosse amministrata da chi deve trarne profitto, anziché clientele e quella roba che chiamano «pace sociale» e in realtà è dilapidazione infruttuosa. Se prendete interi settori di spesa (il personale scolastico, o quello sanitario) e dite a un gestore privato: ti do il 95% di quel che ho speso l'anno scorso e voglio maggiore efficienza, quello corre. Anzi, corrono in tanti. 5. A scuola si scateni il merito, con gran tripudio per i ragazzi. Si prendano gli insegnanti che dettano le soluzioni ai test Invalsi e li si licenzi, in tronco. Si abolisca il valore legale del titolo di studio. Si adottino i libri digitali e si doti ciascuno studente di un computer. Ci costa meno della baracca che teniamo in piedi. 6. Con il debito pubblico che abbiamo non possiamo permetterci di veder crescere il pil solo all'1%. Quando va bene. Non sto a farla palloccolosa, ma è matematica. Come si fa a crescere di più senza drogare il mercato con spesa pubblica aggiuntiva? Liberalizzando e facendo trionfare la meritocrazia, nel mercato, negli studi, negli orari e nelle professioni. 7. Deburocratizzare è impossibile se non capovolgiamo il paradigma: non è lo Stato che deve assicurare che sono onesto e non avveleno i clienti, sono io che garantisco, poi, se mi trovano a sgarrare, mi fanno chiudere. Qui, invece, con la smania dei controlli, fioriscono solo le mazzette. Si è stufato, direttore? Potrei continuare per ore. Sa quali sono le due italie? Una è quella di Machiavelli, che crede esistano idee per le quali vale la pena combattere, l'altra è quella di Guicciardini, che crede valga la pena sbattersi solo per il proprio «particulare». I cavoli propri. Tutti hanno sentito nominare il primo, ma la stragrande maggioranza è seguace del secondo. Compreso il mondo politico che vedo alla ribalta. Sicché, direttore, lo ammetto: lei ha ragione. Siamo pochi, isolati, non contiamo un piffero. Però siamo contenti, perché a noi piace l'Altra Italia.

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