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La politica italiana è come Beautiful

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La politica italiana è diventata Beautiful, una soap opera che ha poco di meraviglioso e molto della saga televisiva americana, con personaggi che entrano ed escono, con case di qua ed inchieste giudiziarie di là, intercettazioni di su e nuovi partiti di giù, con amori e intrighi, con gelosie e divorzi ed ogni giorno un colpo di scena, puntuale come i duelli per il potere. Una soap, appunto, con in più il meccanismo dell'eliminazione (strumento da reality) e del ripescaggio perché chi esce dalla trama, prima o poi, finisce col rientrare dopo qualche giro. La sacralità della politica che ha circondato per decenni l'arte di cercare il bene comune - e lo diciamo senza moralismo! - sembra evaporata nel nostro XXI secolo dove i protagonisti della scena pubblica vanno e vengono da una continua porta girevole e dove il personaggio televisivo, sia esso un ministro, un segretario, un leader di partito, un oppositore precede sempre il politico nell'immaginario del pubblico. Se in Beautiful, tra un bel Ridge, una sempreverde Brooke, una suocera cattiva ed un fratello buono, protagoniste sono alcune famiglie di ricchi creatori di moda il cui destino si intreccia, la trama della soap politica all'italiana viene giocata sui protagonismi dei leader, Berlusconi, Fini, Bersani, D'Alema, Tremonti, Bossi, Casini, Di Pietro, Vendola che si incrociano con personaggi nuovi e vecchi alla scena pubblica, gli Scilipoti, i Razzi, quelli che il gergo giornalistico ha ribattezzato peones e le vecchie conoscenze della Prima Repubblica - i Mastella, i De Mita e gli altri - ciò che resta di una stagione politica passata. Il 22 gennaio di quest'anno il New York Times, quotidiano americano, titolava nella sua versione online parlando del caso Ruby: «Surreale, una soap opera con Silvio Berlusconi». In realtà la soap politica nazionale ci vede ormai tutti coinvolti (tv e giornali compresi) perché va a pescare nella parte meno ragionata della nostra tradizionale commedia all'italiana, quella dei personaggi - caratteri che ha segnato interi decenni del nostro cinema. Con un ingrediente in più: la serialità. Una programmazione quotidiana, dove i personaggi si dividono a seconda delle giornate in buoni e cattivi, tiranneggiati tra idealità ed ambizioni ad ogni costo. Quanto alle trame, beh quelle si intersecano completamente, come nelle vere soap tv e così capita che chi è buono il lunedì diventi cattivo alla mezzanotte e un minuto di martedì, chi sta a destra finisca a sinistra, chi sta al centro si sposti di lato, in un innestarsi continuo di nuove narrazioni di cui è difficile prevedere il finale. Sarà una coincidenza ma l'enorme successo di pubblico, in questi ultimi anni, dei talk politici passa per il meccanismo della soap. Più un leader, un oppositore, un deputato o chi vi pare diventa personaggio da teleschermo meno diviene reale e più la soap va avanti, magari a colpi di botta & risposta televisivi di cui si aspetta sempre la puntata seguente. E così dal 2001 ad oggi, per andare indietro soltanto di un decennio, abbiamo visto cambiare storie e trame, governi e schieramenti, fortune e carriere. Un reality soap con il thrilling dell'eliminazione: ogni tanto, per un'inchiesta della magistratura, per un errore politico, per una gaffe, per inadeguatezza, per una chiacchierata al telefono di troppo, per una casa, qualche protagonista viene eliminato. Ma rientra (quasi) sempre, come nelle soap dove l'attore stanco di fare un personaggio se ne va, lasciando il posto e il personaggio (ad un altro attore) oppure facendolo partire per il Messico sino a quando - magari in crisi di notorietà - gli sceneggiatori non faranno ricomparire sia l'attore che il personaggio. Una trama infinita dove c'è spazio per il come back di tutto, personaggi e argomenti. Pensiamo al tema della casta: quante puntate la politica italiana le ha dedicato, tagliamo di qua, riduciamo di là, basta coi privilegi. Ma nella soap la realtà appare sfumata e mentre le parole passano, le province restano. Nel frattempo, buon Beautiful a tutti.

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