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Sul Lodo Mondadori diamo retta a Bersani

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Per una volta il segretario del Pd andrebbe preso sul serio e messo alla prova di quello che ha detto a proposito dell'infortunio nel quale è purtroppo incorso il presidente del Consiglio tentando di caricare sul già infelice e affollato convoglio della manovra finanziaria la sua vertenza con Carlo De Benedetti per la Mondadori. Che ha già procurato al Cavaliere una condanna a 750 milioni di euro per risarcimento danni in via di prevedibile conferma in appello, magari per una cifra minore ma ugualmente elevata, con una sentenza di esecuzione anche immediata, senza attendere il giudizio definitivo della Cassazione. In attesa del quale, invece, ogni risarcimento danni superiore ai 20 milioni di euro andrebbe sospeso, con il solo obbligo di versare una congrua cauzione, secondo una modifica del codice civile introdotta nel decreto legge sulla manovra finanziaria ma ritirata dal capo del governo. Che vi è stato praticamente costretto dalle rumorose proteste delle opposizioni, dal dissenso degli alleati leghisti, dall'imbarazzo di alcuni ministri ed esponenti del suo stesso partito, in preda a improvvisa e sospetta sorpresa, e dalla forte tentazione del presidente della Repubblica di rifiutare la firma di convalida. Non a caso la manovra finanziaria, rimasta voluminosa e complessa, è stata sbloccata dal Quirinale non appena a Palazzo Chigi è stato rimosso il comma in questione, che aveva fatto irritare moltissimo il capo dello Stato, secondo versioni giornalistiche del suo umore tanto particolareggiate quanto prive di smentite. Bersani, prima che Berlusconi ne annunciasse la eliminazione dal decreto legge per ragioni di mera opportunità politica, pur continuando a ritenerla nel merito "giusta e doverosa", aveva chiesto di "trasferire" la contestatissima norma in un disegno di legge ordinario per "esigenza minima di decenza e di rispetto del Parlamento". Il presidente del Consiglio non ha ora che prendere in parola il suo avversario, e quelli di complemento, per farne saggiare la credibilità al sistema delle imprese. Che dall'attuale disciplina del risarcimento danni è minacciato non meno di quanto lo sia in questi giorni la Fininvest berlusconiana. I cui sacrifici o danni, con una sentenza non definitiva ma ugualmente eseguibile, varranno quanto meno a risparmiarne di analoghi in futuro a molte altre aziende, se una legge nuova e più equanime riuscirà a tagliare il traguardo. Magari con l'appoggio anche delle opposizioni, che sembrerebbe adombrato con l'invito di Bersani a seguire un altro percorso. Se poi le opposizioni continuassero a dire no, salverebbero la loro coerenza antiberlusconiana ma darebbero rovinosamente la prova del cinismo rinfacciato loro in questi giorni dal ministro della Giustizia, e segretario del Pdl, Angelino Alfano. Che le ha paragonate a chi rifiuta di prestare soccorsi ad una nave a rischio di affondamento solo perché a bordo vi è, o addirittura vi potrebbe essere, il Berlusconi di turno. È una storia, d'altronde, senza fine. Ora che la Corte Costituzionale, per esempio, ha ammesso il conflitto di cosiddetta attribuzione sollevato dalla Camera per il processo Ruby al presidente del Consiglio, in corso davanti al tribunale ordinario di Milano anzichè davanti al tribunale dei ministri, sempre di Milano, prepariamoci ad un'altra fiera delle ipocrisie. Questa volta non contro lo strumento eccezionale di un decreto legge, ma contro quello di una legge rigorosamente ordinaria già all'esame del Parlamento. Con la quale si pretende, pensate un po' che scandalo, la sospensione di un processo dalla dubbia competenza in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale. Della quale le attuali opposizioni reclamano un rispetto sacrale solo se è funzionale ai loro interessi politici. Che per un'assai strana concezione della democrazia, tutta italiana e di sinistra, non possono mai confliggere con quello generale perché lo contengono in natura. A differenza degli interessi di Berlusconi, che vi debbono configgere sempre, anche quando sono accettati e condivisi dalla maggioranza degli elettori. A carico degli elettori del Cavaliere e dei suoi alleati si è detto e scritto di tutto da parte degli avversari sin dal primo successo politico dell'attuale presidente del Consiglio, nell'ormai lontano 1994. Si è detto e scritto di una loro congenita, o quasi, incapacità di capire perché annebbiati da una propaganda senza limiti e regole. Eppure ai nemici di Berlusconi è capitato ogni tanto di vincere le elezioni, tanto politiche quanto amministrative, ed ora anche referendarie, a dispetto del "regime" che il Cavaliere sarebbe riuscito a instaurare con la sua discesa in campo. Il fatto è che dopo ogni loro vittoria elettorale essi non sono mai riusciti a sopravvivere politicamente più di tanto ai propri errori e contrasti.  

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