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La terza rivoluzione televisiva

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La televisione e la rivoluzione: «Qua ci sono due possibilità, o parto...» «Oppure?» «Eehh, oppure parto!»: Massimo Troisi, in un suo celebre e sapido film ricominciava da tre ed un proverbio popolare - tra superstizione e cabala - ripete che non c'è due senza tre ma stavolta, forse, ci siamo davvero. Stiamo parlando di Madame la TV. Dopo la prima rivoluzione - con la nascita della Rai negli anni Cinquanta e l'arrivo del tubo catodico nelle case degli italiani ancora, in gran parte, alle prese con l'analfabetismo e con un Paese che da contadino e mezzadro si muoveva verso l'industrializzazione - e la seconda, 30 anni dopo, siamo negli anni Ottanta - con l'avvento della tv commerciale, antenna rabdomante che colse, nonostante il far west legislativo di quegli anni in fatto di etere, la pancia dei cambiamenti di un Paese, la voglia di consumismo, di vita, di qualcosa di diverso da Canzonissima, di donne scosciate e risate, di libertà - il 2011 sembra avere tutte le caratteristiche per segnare la terza rivoluzione televisiva. Nel limbo che coglie le grandi emittenti generaliste, Rai e Mediaset, in crisi di idee e di innovazioni, nei tentativi di creare un terzo polo de La7 e di Sky si legge, in controluce, il cambiamento che riguarda soprattutto il pubblico: l'offerta che c'è agli spettatori non basta più. In questi anni, con le continue innovazioni tecnologiche che hanno riguardato la tv, satellite, digitale, multipiattaforma, fruizioni on demand, streaming online, internet, ci siamo dimenticati - forse per distrazione - del monito di Marshall McLuhan: «Il medium è il messaggio». Ma allora, se il medium è il messaggio, la tv generalista porta con sé un messaggio del secolo scorso perché è il medium del Novecento. Internet, che unisce interazione in tempo reale, libertà di andarsi a cercare le cose che si vogliono davvero vedere e utenza attiva, non tanto come mezzo ma come audience, come pubblico, incarna il futuro. Pardon, il presente. Siamo davanti - in breve - ad un pubblico attivo e non più passivo, dove l'essere spettatore o, nel caso dei reality, dei quiz game, e dei reality-soap, la possibilità di diventare da spettatore protagonista non basta più. Il pubblico vuole di più, vuole poter scegliere ed essere protagonista senza passare dal casting. Il movimento delle star della tv pubblica e privata di cui tanto si parla in queste settimane, incarna uno dei sintomi di questo cambiamento. Perché l'audience attiva di oggi più che di una doppia conduzione - linguaggio della vecchia tv - sembra cercare una autoconduzione, una partecipazione diretta dove il conduttore assomigli ad una rotatoria stradale più che ad un semaforo. Se i media nella storia dell'uomo e dei cambiamenti hanno segnato, spesso, gli indicatori di realtà in movimento, noi siamo convinti che la tv italiana sia alla vigilia se non già dentro la sua terza rivoluzione: dopo la Rai e la scoperta del televisore, dopo la tv commerciale e l'innamoramento per l'edonismo, l'era del «siamo tutti televisione». In fondo, dall'ultima rivoluzione son passati trent'anni. Troppi, anche per un Paese pigro come il nostro.

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